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Spettacoli

Domenica in musica

Super User 22 Febbraio 2020 991 Visite

L’Orchestra del Teatro Carlo Felice è la protagonista della “Domenica in musica” n. 14, domenica 23 febbraio alle ore 11 nel Primo Foyer del Teatro Carlo Felice. Il programma è interamente dedicato alla grande musica barocca, in particolare a quella di area tedesca e italiana: Georg Philipp Telemann, Concerto in Fa maggiore per flauto, fagotto e orchestra TWV 52:1; Arcangelo Corelli, Concerto grosso in sol minore op. 6 n. 8; Antonio Vivaldi, Concerto in la minore per due violini, archi e basso continuo RV 522. I quattro solisti previsti dai brani ricoprono tutti il ruolo di prime parti dell’Orchestra del Teatro Carlo Felice: Giovanni Battista Fabris, violino di spalla, Pier Domenico Sommati, spalla dei secondi violini, Flavio Alziati, primo flauto, e Luigi Tedone, primo fagotto.

Ingresso: € 8 (intero), € 6 (ridotto under 26)

Super Jazz alla Sala Mercato

Super User 21 Febbraio 2020 964 Visite

Dopo il sold out del concerto inaugurale, dedicato al talento eccezionale di Michel Petrucciani, c’è un nuovo attimo da cogliere, un nuovo imperdibile appuntamento per gli amanti della musica jazz.
Domenica 23 febbraio, nell’ambito della rassegna Jazz’n’breakfast curata da Rodolfo Cervetto in collaborazione con Gezmataz e Louisiana Jazz Club, sul palcoscenico della Sala Mercato (ore 10.30) sale CACHOEIRA PROJECT un ensemble con base in Liguria ma che affonda le proprie radici oltre l’Atlantico, nei ritmi soffusi e nell’eleganza delle sonorità brasiliane.

CACHOEIRA PROJECT che per l’occasione si schiera con un quintetto formato da Tiziana Bagetta (voce), Alessandro Melizzi (chitarra), Francesco Mascardi (sax e flauto), Pietro Martinelli (contrabbasso), Mario Principato (percussioni), presenta in anteprima canzoni presenti nel nuovo album in uscita a breve e fa rivivere i grandi masterpieces della musica verdeoro in tutta la loro raffinata bellezza, passando con estrema disinvoltura dall’allegria del jazz-samba alla melanconia della bossa nova. Brani indimenticabili e celebri in tutto il mondo come “Desafinado”, “Girl from Ipanema”, “Corcovado”, perle discografiche rare e tutta la suggestione del sound brasileiro che abbiamo amato grazie a musicisti come Antônio Carlos Jobim, João Gilberto, Laurindo Almeida. 

Jazz’ n’ breakfast è promossa dal Teatro Nazionale di Genova con il sostegno del Centro Commerciale e Divertimenti Fiumara: tutti i concerti si svolgono alla Sala Mercato (Piazza Modena 3, Genova) con inizio alle ore 10.30; il bar del teatro è aperto per le colazioni dalle ore 9.30. 

Ingresso + colazione 7 euro. 

I biglietti sono in vendita presso le biglietterie del Teatro Nazionale di Genova e online su vivaticket.it e happyticket.it. Info su teatronazionalegenova.it 

La Rassegna prosegue domenica 22 marzo con il concerto A lezione di emozione con il pianista Dado Moroni insieme a Simona Bondanza (voce), Stefano Riggi (sax tenore), Dino Cerruti (contrabbasso), Rodolfo Cervetto (batteria).

 

 

 

 

 

Jazz’ n’ breakfast

 

Domenica 23 febbraio | Sala Mercato ore 10.30

 

CACHOEIRA PROJECT

 

Tiziana Bagetta voce | Alessandro Melizzi chitarra

 

Francesco Mascardi sax e flauto | Pietro Martinelli contrabbasso

 

Mario Principato percussioni

 

 

Giallo di Liguria, nel foyer della Corte

Super User 20 Febbraio 2020 1057 Visite

Inizia venerdì 21 febbraio alle ore 17 nel foyer del Teatro della Corte, il ciclo d’incontri “Giallo di Liguria”, promosso dalla Fondazione Mario Novaro in collaborazione con l’Università di Genova e il Teatro Nazionale di Genova.
Il ciclo, curato dal docente universitario Francesco De Nicola, quest’anno è dedicato al genere poliziesco. Nei cinque appuntamenti, tutti a ingresso libero, ogni venerdì alle ore 17 fino al 20 marzo, si affronteranno gli aspetti che caratterizzano questo genere letterario di straordinario successo, dalla fase creativa agli aneddoti più curiosi, senza tralasciare le numerose sfumature del genere, come il thriller, il noir e le sue declinazioni nei prodotti cinematografici e televisivi.
Il primo incontro fissato per venerdì 21 febbraio alle ore 17 nel foyer della Corte sarà condotto da Francesco De Nicola e si occuperà della nascita del genere, partendo dall’opera dello scrittore ligure Alessandro Varaldo, autore del primo giallo italiano accolto nella collana Libri Gialli della Mondadori nel 1931.

Ecco nel dettaglio il programma dei cinque appuntamenti: 

NASCE IL GIALLO: ALESSANDRO VARALDO

Venerdì 21 febbraio 2020

Francesco De Nicola introduce l’opera del primo giallista italiano

 

IL GIALLO DAL LIBRO ALLO SCHERMO

Venerdì 28 febbraio 2020

Renato Venturelli introduce il film di Pietro Germi “Un maledetto imbroglio” (1959) e la stagione dei “poliziotteschi”

 

GIALLO A STRISCE

Venerdì 6 marzo 2020

Ferruccio Giromini dialoga con Enzo Marciante, autore dell’Ispettore Bobop e con Giancarlo Berardi, creatore della serie “Julia – Le avventure di una criminologa”

 

GIALLO IN QUESTURA

Venerdì 13 marzo 2020

Francesco De Nicola dialoga con Mario Paternostro

 

BOCCADASSE, PROVINCIA DI VIGATA

Venerdì 20 marzo 2020

Eliana Quattrini dialoga con Giuliana Manganelli e Silvio Riolfo Marengo

Sabbia al Duse

Super User 20 Febbraio 2020 901 Visite

Mercoledì 26 febbraio alle ore 20.30 debutta in prima nazionale sul palcoscenico del Teatro Duse Creatura di sabbia diretto da Daniela Ardini con Raffaella Azim protagonista.

Liberamente tratto da due romanzi di Tahar Ben Jelloun (“Creatura di sabbia” e “Notte fatale”) pluripremiato scrittore marocchino, autore del best seller “Il razzismo spiegato a mia figlia” lo spettacolo racconta la storia di Zahra, una ragazzina allevata come un maschio (Mohamed) per volontà del padre e cresciuta nascondendo il proprio corpo senza però poter evitare le pulsioni, i pensieri, le contraddizioni della sua vera natura. La necessità di conservare il patrimonio familiare assumendo il ruolo di capofamiglia, porta Mohamed/Zahra a scegliere un paradossale matrimonio con la cugina, figlia dello zio al quale, secondo la legge coranica, sarebbe spettata la parte principale dell’eredità alla morte del padre. Quando effettivamente il padre viene a mancare, l’ermafrodita Mohamed/Zahra riesce piano piano a riappropriarsi del proprio corpo e della propria identità.

Creatura di sabbia è un testo in cui non mancano momenti di grande lirismo e sebbene sia scritto e narrato come una fiaba delle “Mille e una notte”, è un deciso atto di denuncia della condizione della donna nel mondo islamico e, in generale, ad ogni latitudine.

La regista Daniela Ardini che con Azim ha curato l’adattamento scenico commenta: «La sabbia che costruisce diverse forme trasportata dal vento è l’immagine che sintetizza l’opera e il nostro lavoro, un deserto che si fa vita, vita vera e finzione letteraria, perché in questi romanzi non c’è cesura tra la realtà e la finzione, i due mondi si mescolano mirabilmente attraverso i diari scritti dal/la protagonista. Con Raffaella Azim sedimentiamo da lungo tempo questi temi: si può dire che i testi di Tahar Ben Jelloun siano per noi un costante work in progress, tante sono le anime in essi contenute».

Lo spettacolo è in scena al Teatro Duse da mercoledì 26 febbraio a domenica 1 marzo. Mercoledì, venerdì e sabato lo spettacolo inizia alle ore 20.30, giovedì alle ore 19.30.

Dal mercoledì 26 febbraio a domenica 1° marzo 2020 Teatro Duse

Creatura di sabbia

Tratto dai romanzi “Creatura di sabbia” e “Notte fatale” di Tahar Ben Jelloun

adattamento Daniela Ardini e Raffaella Azim

con Raffaella Azim

e con i danzatori Beatrice Rossi e Francesco Adamo

costumi Maria Angela Cerruti

elementi scenici Giorgio Panni e Giacomo Ricalza

luci Carlo Pediani

produzione Lunaria Teatro

regia Daniela Ardini

Supermarket musical al Duse

Super User 17 Febbraio 2020 1281 Visite

Una commedia irriverente? Si. Un musical con risvolti sociali? Anche. Una tragicommedia contemporanea? Certamente. Supermarket A Modern Musical Tragedy, in scena al Teatro Duse dal 19 al 22 febbraio è tutto questo e molto di più. Uno spettacolo originale e spiazzante che farà ricredere tutti coloro che pensano che nei teatri italiani l’offerta dei musical sia fossilizzata ai soliti evergreen.

«Mi interessava raccontare il nostro stile di vita, le nevrosi e le malattie del consumo. Per questo ho deciso di pensare ad uno spettacolo ambientato in un supermercato: uno spazio ordinario e quotidiano, che spesso quasi non vediamo davvero, troppo concentrati sulla necessità di portare a termine, nel minor tempo possibile, la nostra spesa». Queste l’intento da cui è partito Gipo Gurrado, regista, autore del libretto, delle musiche e, insieme a Livia Castiglioni, della drammaturgia.

Ne è nato uno spettacolo di teatro cross-over, brioso, surreale e inclassificabile. Nove attori in scena, suoni ripresi da un vero supermercato, canzoni pop originali eseguite live e dedicate al formaggio vegano o all’insalata russa, aspre invettive contro chi non ci fa passare avanti alla cassa anche se abbiamo solo un dentifricio, odi gioiose di fronte alla mega offerta sui sughi pronti.

Supermarket A Modern Musical Tragedy è un impietoso e divertente spaccato della nostra società formata da consumatori compulsivi e iperconnessi, costantemente eterodiretti, influenzati da una carrellata di prodotti e informazioni che stimolano i nostri organi a una velocità che la nostra intelligenza non riesce più a controllare.

Dopo avere visto Supermarket probabilmente non sarà più possibile andare a fare la spesa senza pensare di trovarsi dentro uno spettacolo comico.

Lo spettacolo è in scena al Teatro Duse da mercoledì 19 a sabato 22 febbraio. Mercoledì, venerdì e sabato lo spettacolo inizia alle ore 20.30, giovedì alle ore 19.30. 

Dal mercoledì 19 a sabato 22 febbraio 2020 Teatro Duse

S U P E R M A R K E T

A Modern Musical Tragedy

 di Gipo Gurrado e Livia Castiglioni

con Federica Bognetti, Francesco Errico, Andrea Lietti, Roberto Marinelli, Isabella Perego

Elena Scalet, Andrea Tibaldi, Cecilia Vecchio, Carlo Zerulo

coreografie e movimenti scenici Maja Delak

costumi Sara Pamio

luci Rossano Siracusano

regia Gipo Gurrado

L’Adriana strega i genovesi

Super User 17 Febbraio 2020 1611 Visite

Raffinata, bella, struggente, elegante, apprezzata dal pubblico: eppure rappresentata in Italia molto raramente. Domenica pomeriggio oltre 10 minuti di applausi hanno salutato l’ultima rappresentazione genovese di “Adriana Lecouvreur”, al Carlo Felice. Un successo che è merito certamente del cast di livello assoluto, ma anche di un regista e di un direttore di orchestra che conoscono profondamente la musica del compositore Francesco Cilea, calabrese di origine ma varazzino di adozione. Il regista Ivan Stefanutti, che ha curato anche le scene e i costumi, è sicuramente uno dei principali interpreti dell’Adriana: e lo stesso vale per il direttore d’orchestra Valerio Galli, capace di tirare fuori dal golfo mistico le sonorità moderne e le vibrazioni che voleva trasmettere Cilea. Il compositore, fondendo gli elementi tradizionali della scuola napoletana con gli influssi di Massenet e della tradizione lirica francese, punta sull’atmosfera intimista e crepuscolare con cui riveste e tratteggia le psicologie dei suoi personaggi, contrapponendosi così con la corrente verista all’epoca dominante.

L’orchestra del Carlo Felice in più di un passaggio ha dimostrato di apprezzare il piglio e la verve del maestro Galli, restituendo la varietà di umori della scrittura di Cilea. Per buona parte del pubblico l’Adriana è stata una scoperta: l’ultima volta che quest’opera è andata in scena a Genova è stato infatti al Margherita di via XX Settembre, dato che il Carlo Felice non era stato ancora ricostruito. La storia raccontata dal librettista Arturo Colautti è vera: Adrienne Lecouvreur fu un’attrice parigina all’inizio del 1700, che riuscì a soppiantare la star dell’epoca Mademoiselle Duclos grazie ai caratteri più moderni della sua recitazione. Quando morì in circostanze non chiare nel 1730, si disse che era stata avvelenata da una sua rivale in amore, la principessa di Bouillon. L’uomo conteso era Maurizio Ermanno, conte di Sassonia e figlio illegittimo del re di Polonia.

Stefanutti ha deciso di ambientare l’opera non nell’epoca cui avevano pensato Cilea e Colautti, il 700, ma l’inizio del 900, quando venne pubblicata: scelta che non è piaciuta a tutti. I costumi e le scenografie restano comunque di grande ricercatezza, eleganza ed efficacia nella descrizione delle tensioni emotive e sentimentali dei protagonisti. Il primo cast, cui era affidata l’ultima replica, ha dato il meglio di sé. Il soprano Barbara Frittoli, nel ruolo di Adriana, ha riscosso applausi a scena aperta. Idem per il tenore Marcelo Alvarez, conte di Sassonia. Molto convincente (non solo nel canto ma anche nella recitazione) il baritono Devid Cecconi. 

Paolo Fizzarotti

Umberto Orsini al Modena

Super User 14 Febbraio 2020 1386 Visite

Il ritorno in scena di Umberto Orsini è di per sé un’ottima notizia. Dopo una settimana di sold out con Il nipote di Wittgenstein (in scena a novembre al Teatro Duse), il fuoriclasse assoluto del teatro italiano è Il costruttore Solness di Henrik Ibsen, sul palcoscenico del Teatro Gustavo Modena da mercoledì 19 febbraio (ore 20.30).Quello per l’opera del drammaturgo norvegese è un interesse vivissimo sbocciato molti anni fa: oltre alla potenza sprigionata dal copione ad affascinare Orsini sono sempre state le difficoltà della messa in scena di questo dramma della maturità di Ibsen.In questo si è rivelato decisivo l’incontro con Alessandro Serra, il visionario regista sardo che ha raggiunto la fama internazionale grazie con il suo intensissimo Macbettu, versione barbaricina della tragedia shakespeariana, riconosciuto quale "miglior spettacolo dell'anno” ai Premi Ubu 2017 e rappresentato in tutto il mondo.Halvard Solness è un vecchio imprenditore edile che nonostante abbia raggiunto un certo successo, è profondamente infelice. Alla perdita dei figli e alla lunga malattia della moglie, si somma la sua totale idiosincrasia per i giovani: nel fiore degli anni, agendo senza scrupoli, egli iniziò la sua scalata verso il successo ed ora è assediato dal timore di poter essere lui stesso spodestato con l’inganno.Quando la giovane Hilde rientra di prepotenza nella sua vita, rammentandogli un incontro e una promessa fattale dieci anni prima, la sua esistenza viene travolta da un turbinio di emozioni. Fra vertigine e desiderio, vanità e riscatto, Solness avrà in dono qualche scampolo di rinnovata giovinezza ma si ritroverà presto sull’orlo di una voragine e sarà proprio lui, costruttore di intere città, a decretare la propria autodistruzione. Il regista Serra ha deciso di ambientare il dramma ibseniano in luoghi grigi, oscuri, talora claustrofobici, con tagli di luce spesso obliqui e di affiancare ad Umberto Orsini un affiatato cast di giovani talenti fra cui Lucia Lavia nel decisivo ruolo di Hilde. In una nota di regia si legge «Il costruttore Solness è la storia di tanti assassinii, di giovani che uccidono i vecchi spingendoli ad essere giovani e vecchi che uccidono se stessi nel tentativo di raggiungere l’impossibile ardore giovanile. Una storia segnata da uno spregiudicato esercizio del potere».Il costruttore Solness debutta al Teatro Gustavo Modena mercoledì 19 febbraio alle ore 20.30 e resta in scena fino a domenica 23 febbraio.

Da mercoledì 19 a domenica 23 febbraio 2020 Teatro Gustavo Modena

Il costruttore Solness di Henrik Ibsen con Umberto Orsini, Lucia Lavia, Renata Palminiello, Pietro Mici, Chiara Palmegani, Salvo Drago e con Flavio Bonacci.

Regia, scene, costumi e luci Alessandro Serra

Produzione Compagnia Orsini e Teatro Stabile dell’Umbria

Un grande Glauco Mauri alla Corte

Super User 14 Febbraio 2020 1121 Visite

Dostojevski non è l’ennesimo classico e lo spettacolo in scena al Teatro Nazionale di Genova fino al 16 di questo mese ne è la prova.

Nonostante l’allestimento e l’impostazione di questo adattamento de “I fratelli Karamazov” siano indubitabilmente convenzionali, le parole del grande autore russo donano a un simile dramma tutta la forza dell’attualità.

Dostojevski è uno degli interpreti maggiormente precoci delle inquietudini che ancora adesso la nostra società si porta dentro. I suol libri anticipano il perturbamento che è esploso negli ultimi anni e le sue parole sono ferite aperte nella coscienza troppo sicura di noi occidentali.

I temi del dramma sono arcinoti, quasi consumati, ripetuti da sceneggiati televisivi e adattamenti cinematografici, citati fino alla nausea in letteratura e filosofia.  Tutto si riassume con facilità in due scambi di battute che qui riportiamo strappati al loro contesto:

“Dio esiste?” chiede Fëdor Pavlovič (il padre dei Karamazov) interpretato da un glorioso Glauco Mauri. “ No “ è la risposta di suo figlio Ivàn (un bravissimo Roberto Sturno). La replica che questa risposta secca e inappellabile produce è agghiacciante: “Allora tutto è permesso…”.  Questo è l’orrore che ci si spalanca davanti in questo spettacolo, la vertigine immensa della mancanza di senso, resa magistralmente dalla recitazione dei vari attori, che si avvita in un crescendo drammatico e tragico.

La verità sul mondo è qualcosa di terribile, una tragedia profonda e insanabile che si porta dietro il delitto come conseguenza quasi sillogistica. Ivàn Karamazov, lo stesso personaggio che sembra più lucido nell’indicare l’insensatezza del mondo, si rivela poi non all’altezza di quello stesso senso di vuoto, non arriva alle estreme conseguenze di ciò che pure vede. La vera tragedia sta in questo, in un’assenza di Dio che genera assassini, che dà sostanza al Diavolo.

Ma è lo stesso autore a darci una via di fuga, un’evasione all’interno di questa spirale di negatività che stritola una famiglia: “Bisogna amare tutti” ci dice Aleksej (Pavel Zelinskiy) un altro dei fratelli. Forse la risposta a questa ferita è proprio un amore incondizionato e ingenuo per un mondo insensato. L’amore permette di vedere un senso anche dove non c’è. Agli spettatori giudicare se questa è solo una pia illusione, una fantasia da giovani, oppure una vera risposta alla bruttezza del mondo.

Su un versante più tecnico, infine, dobbiamo dire che la regia di Matteo Tarasco è fatta molto bene: è presente ma non invadente. Le varie scene sono costruite esteticamente con grande raffinatezza, con contrapposizioni sia sceniche che cromatiche. Le posizioni dei personaggi e i loro stessi costumi ci dicono molto su ciò che sta accadendo, sembra di guardare tanti strani quadri di genere.

La conclusione di questo testo, poi, non può che essere dedicata a Glauco Mauri, habitué di quest’opera e di temi dostojevskiani che, nonostante i suoi 89 anni, si muove sul palco con una naturalezza ed una disinvoltura totalmente invidiabili.

Corrado Fizzarotti

Adriana Lecouvreur, un grande ritorno

Super User 07 Febbraio 2020 1685 Visite

Un grande evento per il teatro Carlo Felice: giovedì mattina è stata presentata l’Adriana Lecouvreur di Francesco Cilea. E’ la prima volta che la storia della bella attrice francese del 700 va in scena al Carlo Felice. La volta precedente che l’Adriana Lecouvreur è stata rappresentata a Genova era il 1989 e il Carlo Felice non era stato ancora riaperto. L’opera di Cilea fu rappresentata al Teatro Margherita. Per la quasi totalità del pubblico genovese, quindi, l’opera è una autentica novità: anche perché Cilea non è uno degli autori più rappresentati in Italia. Lo spettacolo è in cartellone dal 12 al 16 febbraio.

La protagonista dell’opera è una donna realmente esistita: l’attrice Adrienne Lecouvreur, regina delle scene teatrali parigine degli inizi del ’700, ammirata e amata sia dal pubblico che dagli artisti e intellettuali dell’epoca, tra cui Voltaire, morta in circostanza misteriose. Si racconta, infatti, che fosse stata assassinata dalla Principessa di Bouillon, sua rivale in amore, attraverso un mazzolino di viole avvelenate. Il fascino e il mistero della vicenda colpirono Eugène Scribe, che ne trasse un dramma, diventato un cavallo di battaglia di Sarah Bernhardt, da cui Arturo Colautti ricavò il libretto per l’opera di Cilea.

Adriana Lecouvreur è senza dubbio il capolavoro del compositore calabrese. Mentre la maggior parte degli altri operisti inseguiva i successi della linea verista, Cilea preferì rivolgersi all’opera francese, da cui prese il gusto per la melodia sempre in primo piano, accompagnata da armonie ricercate e da colori orchestrali ricchi di sfumature. Rappresentata per la prima volta nel 1902 al Teatro Lirico di Milano, Adriana Lecouvreur ottenne fin da subito un grande successo di pubblico, anche grazie all’effetto coinvolgente dato dall’alternanza tra momenti intimi, slanci passionali e parentesi comiche.

Il Teatro Carlo Felice propone Adriana Lecouvreur nell’allestimento dell’Associazione Lirica Concertistica Italiana (As.Li.Co.) con la regia, le scene e i costumi di Ivan Stefanutti. Una rilettura della vicenda originale che sposta l’ambientazione ai primi del ’900, negli anni iniziali della storia del cinema, con i primi conseguenti fenomeni di divismo femminile.

Dirige il maestro Valerio Galli, direttore particolarmente preparato sul repertorio operistico italiano degli inizi del 900 (suoi cavalli di battaglia il Gianni Schicchi di Puccini e Rapsodia satanica di Mascagni.

Nel cast di ottimo livello sono in evidenza Barbara Frittoli, Amarilli Nizza e Valentina Boi (Adriana); Marcelo Álvarez, Fabio Armiliato e Gianluca Terranova (Maurizio di Sassonia); Judit Kutasi e Giuseppina Piunti (Principessa di Bouillon); Devid Cecconi e Alberto Mastromarino (Michonnet); Federico Benetti (Principe di Bouillon); Didier Pieri (Abate di Chazeuil). Completano il cast: Marta Calcaterra (Mademoiselle Jouvenot), Carlotta Vichi (Mademoiselle Dangeville), John Paul Huckle (Quinault), Blagoj Nacoski (Poisson), Claudio Isoardi (Un maggiordomo). Le luci, che nella regia di Stefanutti hanno un ruolo centrale, sono di Paolo Mazzon.

Nell’Atto III di Adriana Lecouvreur c’è una famosa scena danzata, che in questo allestimento ha le coreografie di Michele Cosentino ed è interpretata da Michele Albano, Ottavia Ancetti e Giancarla Malusardi.         

ADRIANA LECOUVREUR

Opera in quattro atti di Arturo Colautti dall’omonimo dramma di Eugène Scribe ed Ernest Legouvé

Musica di Francesco Cilea

Direttore d’Orchestra: Valerio Galli
Regia, scene e costumi: Ivan Stefanutti
Luci: Paolo Mazzon
Coreografie: Michele Cosentino
Assistente alla regia: Filippo Tadolini 

Allestimento Associazione Lirica Concertistica Italiana (As.Li.Co.)

Personaggi e interpreti:

Adriana Lecouvreur: Barbara Frittoli / Amarilli Nizza (13, 15) / Valentina Boi (14)

Maurizio di Sassonia: Marcelo Álvarez / Fabio Armiliato (13, 15) / Gianluca Terranova (14)
Principessa di Bouillon: Judit Kutasi / Giuseppina Piunti (13, 15)
Michonnet: Devid Cecconi / Alberto Mastromarino (13, 15)
Principe di Bouillon: Federico Benetti

L’Abate di Chazeuil: Didier Pieri
Mademoiselle Jouvenot: Marta Calcaterra
Mademoiselle Dangeville: Carlotta Vichi
Quinault: John Paul Huckle
Poisson: Blagoj Nacoski
Un maggiordomo: Claudio Isoardi
Danzatori: Michele Albano, Ottavia Ancetti, Giancarla Malusardi

Orchestra e Coro del Teatro Carlo Felice
Maestro del Coro Francesco Aliberti

Date e turni:

Febbraio 2020: mercoledì 12, ore 20:00 (A); giovedì 13, ore 20:00 (L); venerdì 14, ore 20:00 (B); sabato 15, ore 15:00 (F); domenica 16, ore 15:00 (C)

Paolo Fizzarotti

Brecht al Teatro Modena

Super User 07 Febbraio 2020 1148 Visite

Immaginando una società totalmente orfana di valori in cui regnino solo cinismo, violenza ed opportunismo, come potrebbe sopravvivere la bontà nel cuore degli uomini?

E’ questo l’interrogativo etico che permea L’anima buona del Sezuan, ritenuta fra le realizzazioni più complete e mature di Bertolt Brecht. Un’opera che, va ricordato, venne composta fra il 1938 e il 1940, anni in cui il grande intellettuale visse da esule fra Finlandia e Danimarca, guardando con lucida nostalgia alla sua Germania, piombata nell’abisso nazista. Anche per questo il geniale drammaturgo scelse di ambientare la pièce in un lontano e misterioso oriente, eliminando riferimenti temporali specifici per darle un respiro fiabesco e apologetico che potesse renderla atemporale ed universale.

Elena Bucci e Marco Sgrosso, attori e registi fondatori della compagnia Le belle Bandiere, hanno deciso di confrontarsi con questo capolavoro del ‘900, in scena al Teatro Gustavo Modena dal 13 al 15 febbraio, seguendo la lezione del loro maestro Leo de Berardinis a cui dedicano lo spettacolo.

Tre divinità pigre e alquanto pasticcione, vagano sulla Terra in cerca di un’anima buona per dimostrare che il mondo non è del tutto marcio ed evitare così il faticoso compito di cambiarlo. Giunti nella capitale del Sezuan, chiedono un rifugio per la notte all’acquaiolo imbroglione Wang. Soltanto Shen-Tè, una povera prostituta dal cuore d’oro è pronta ad accoglierli. La generosità della giovane la rende presto bersaglio di uomini violenti, di ladri e parassiti che occupano la sua umile dimora. Per non soccombere la buona Shen-Tè si sdoppia travestendosi da uomo (il cugino Shui Ta), scaltro e severo, che inizia a sistemare le cose cacciando a malo modo tutti gli intrusi.
In questa fiaba agrodolce, lo sguardo profetico di Brecht immette questioni politiche e interrogativi etici, riflessioni sul libero arbitrio e sull’eterna lotta fra il bene e il male: Bucci e Sgrosso vi innestano l’uso di candide maschere ispirate alla Commedia dell’arte e di palchetti di scena che di volta in volta diventano palafitte, rifugi, paesi e stage dove lasciarsi andare in vertiginose danze.
Ne L’anima buona del Sezuan le domande più urgenti oggi come allora non trovano una risposta. Dall’atemporalità della fiaba però emerge e si fa largo una verità che viene pronunciata da un volto nudo, privo della maschera: di anime pure e di bellezza c’è e ci sarà sempre bisogno.

Lo spettacolo debutta al Teatro Gustavo Modena giovedì 13 febbraio alle ore 19.30. Le altre recite sono previste venerdì 24 e sabato 25 gennaio alle ore 20.30.

L’anima buona del Sezuan di Bertolt Brecht con Elena Bucci, Marco Sgrosso, Maurizio Cardillo, Andrea De Luca, Nicoletta Fabbri, Federico Manfredi, Francesca Pica, Valerio Pietrovita, Marta Pizzigallo

Scene e maschere Stefano Perocco di Meduna

Luci Loredana Oddone

Musiche originali dal vivo Christian Ravaglioli

Adattamento e regia Elena Bucci e Marco Sgrosso

Produzione Centro Teatrale Bresciano, Emilia Romagna Teatro Fondazione

Glauco Mauri fa “I Fratelli Karmazov”

Super User 07 Febbraio 2020 1158 Visite

Così come oggi ci appassioniamo per le serie tv, in Russia tra il 1879 e il 1880 tutti aspettavano spasmodicamente le nuove puntate de I fratelli Karamazov, pubblicate su “Il messaggero russo”. Concluso a pochi mesi dalla scomparsa del suo autore, il romanzo di Fëdor Dostoevskij è oggi considerato uno dei grandi capolavori della letteratura europea, trasposto sia in teatro che al cinema in innumerevoli versioni. Lo spettacolo I fratelli Karamazov presentato al Teatro della Corte da martedì 11 a domenica 16 febbraio dalla Compagnia Mauri Sturno, in coproduzione con il Teatro della Toscana, si basa su un nuovo adattamento, frutto di un intenso lavoro di smontaggio e rimontaggio dei capitoli fondamentali del romanzo, ad opera dallo stesso Glauco Mauri e del regista Matteo Tarasco.

Dostoevskij per i suoi romanzi traeva spunto dalle cronache del tempo ma anche dalle proprie traumatiche esperienze familiari. I fratelli Karamazov è costruito attorno ai complessi rapporti di una famiglia, devastata da litigi, violenze e incomprensioni così drammatiche da arrivare a un parricidio. Dietro una trama apparentemente da libro giallo, svela il conflitto tra la fede e un mondo senza dio, conducendoci in uno straordinario viaggio nei massimi problemi etici.

Glauco Mauri, fuoriclasse del nostro teatro, a 22 anni aveva ottenuto un grande successo personale interpretando il ruolo del fratellastro-servo Smerdjakov nell’allestimento diretto da André Barsacq, a fianco di attori leggendari come Memo Benassi, Lilla Brignone ed Enrico Maria Salerno. Oggi, alle soglie dei 90 anni, si cala nei panni di Fëdor Pavlovic Karamazov, il vecchio padre dissoluto e senza scrupoli. Roberto Sturno, da sempre sodale di Mauri, dà voce e corpo a Ivàn Karamazov, il più intellettuale e tormentato dei fratelli. Sul palco insieme a loro Paolo Lorimer (lo Starec Zosima), Laurence Mazzoni (Dmitrij Karamazov), Pavel Zelinskiy (Alekséj Karamazov), Gabriele Anagni (Smerdjakov), Maria Chiara Centorami (Katerina Ivanova) e Viviana Altieri (Grušen’ka).

Biglietti da 12 a 27 euro. Inizio spettacoli ore 20.30, giovedì ore 19.30, domenica ore 16.

dal 11 al 16 febbraio 2020 Teatro della Corte, Genova

I fratelli Karamazov di Fëdor Dostoevskij | regia Matteo Tarasco

con Glauco Mauri, Roberto Sturno e con Paolo Lorimer, Pavel Zelinskiy, Gabriele Anagni, Laurence Mazzoni, Maria Grazia Centorami, Viviana Altieri

scene Francesco Ghisu | costumi Chiara Aversano

musiche Giovanni Zappalorto | luci Alberto Biondi

produzione Compagnia Mauri Sturno, Teatro della Toscana

Barzellette alla Corte

Super User 05 Febbraio 2020 2121 Visite

Le barzellette di Ascanio Celestini fanno ridere, certo; alcune fanno ridere a crepapelle. Aspettatevi pure i doppi sensi e le parolacce. La gente lo sa: e così lo spettacolo “Barzellette”, al teatro della Corte fino a giovedì 6 febbraio, fa sempre il tutto esaurito. Ma, come spesso accade a teatro, non c’è un solo livello di lettura. Barzellette è un titolo fuorviante. E’ vero che questo spettacolo ne è pieno, ma è anche evidente che ne sono solo una parte. Anche stavolta se vuoi ti fermi alla risata: oppure guardi quello che c’è dietro, quello che c’è sotto. Ascanio Celestini in scena ripete più volte una frase che serve proprio a far capire che il suo spettacolo è più profondo rispetto a una semplice raccolta di storielle divertenti: “Loro hanno una destinazione. Che non è proprio un destino, ma qualcosa di molto simile”. Non sono concetti da La sai l’ultima
La storia è semplice, apparentemente. C’è un capotreno. Dice di essere “nel ramo ferroviario”. Con le barzellette racconta la sua vita, il suo lavoro, gli incontri che ha fatto, le storie che ha raccolto in tutta una esistenza sui binari: storie che descrivono la gente e per estensione l’umanità intera. Nella penombra, defilato, c’è un uomo che invece è “nel ramo funerario”: aspetta un cliente di riguardo, un morto eccellente. Il capotreno ha un altro interlocutore, il capostazione. Non è fisicamente in scena, ma è sempre presente nei racconti del protagonista: una presenza immanente. Lo scenario è una stazione terminale: quelle piccole, con un binario solo, dove il treno arriva la sera e riparte la mattina dopo in direzione contraria.
Poi scopri che forse il capotreno è già morto, e che forse il necroforo deve seppellire proprio lui. A questo punto pensi che il capostazione (e cioè colui che ha assunto il capotreno, dandogli quindi la sua identità) forse è Dio: per questo è sempre presente, ma non appare mai. Per questo è il custode della destinazione, e quindi del destino, dei suoi viaggiatori. E probabilmente la stazione terminale è la metafora neanche tanto nascosta della morte, e il viaggio pieno di barzellette e momenti tristi è la metafora della vita. Un quadro Beckettiano, che più Beckettiano non si può. Lo spettacolo di Ascanio Celestini è moderno, anzi, contemporaneo. Le scene sono ben costruite. La musica suonata dal vivo sul palco aggiunge spessore e colore alle barzellette e al monologo che le circonda. Parola, luci e musica sono armonizzate egregiamente dalla regia e trascinano lo spettatore per tutta l’ora e mezza della rappresentazione.
Questo raccontare barzellette è un parlare di vita. Sotto la superficie della storiella ingenua o maliziosa si riesce a intravedere un senso più profondo, quasi inquietante. Celestini inizia con calma, presentando varie immagini di umanità, in una panoramica di quello che passa per le stazioni e i treni. Storie buffe iniziano a concatenarsi, si ride. Poi lentamente emerge una domanda che ha molto del filosofico: “Chi siamo noi?”. La risposta si costruisce: siamo l’insieme di queste identità, siamo i personaggi di queste storielle da poco, siamo qualcosa che fa ridere.  Le barzellette hanno quasi l’aspetto di storie zen, che dicono una cosa semplice, quasi assurda, che cela un significato più profondo sui modi in cui i vari personaggi vivono la vita, le opportunità, le difficoltà.  Ma non c’è solo questo. Questo spettacolo finisce per costruirsi come immagine della vita, con i suoi momenti leggeri e con quelli pesanti. Perché non ci sono solo storie divertenti nella panoramica di Ascanio Celestini. Il monologo è strutturato come una specie di Uno-Due dove, tra le varie facezie sono inserite ad hoc storie vere, riferimenti a fatti di cronaca, ad altre cose che il pubblico conosce. Il contrasto colpisce allo stomaco, le storie della realtà sembrano più assurde di quelle esagerate, costruite e raccontate per far ridere. I due estremi sono così distanti che quasi si toccano, ma non frizionano uno sull’altro. Si passa dal ridere con trasporto al riflettere con l’amaro in bocca, senza soluzione di continuità, fluidamente… e, alla fine, è così che funziona la vita.

Corrado Fizzarotti

Paolo Fizzarotti

Bucci a teatro per la Baistrocchi

Super User 02 Febbraio 2020 1328 Visite

Gran pienone al Politeama Genovese per la messa in scena dello spettacolo "Baciami... stupido" della Baistrocchi.
Il sindaco Bucci con la consorte Laura Sansebastiano non ha voluto mancare alla prima della compagnia teatrale più longeva d'Italia (107 anni), capitanata da Edoardo Quistelli.
Lo si è visto immortalato in foto su Facebook a braccetto con l'assessore leghista Paola Bordilli e con Cristina Scarfogliero, consigliere di Forza Italia del Municipio Media Val Bisagno.

Purcell e Britten nel Foyer

Super User 01 Febbraio 2020 976 Visite

C’è chi dice che i più grandi compositori inglesi di tutti i tempi siano due: Henry Purcell (1659-1695) e Benjamin Britten (1913-1976). Di sicuro, il secondo si è sempre voluto confrontare a distanza con il primo. Studiandolo, analizzandolo e, soprattutto, arrangiandolo e trascrivendolo. Questo dialogo a due voci, tutto in inglese, è al centro di Purcell, il compositore che incantò Britten, il concerto n. 11 del ciclo “Domenica in musica”, domenica 2 febbraio, nel Primo Foyer del Teatro Carlo Felice, alle ore 11.

Il programma della matinée è diviso in due parti. La prima è dedicata alle musiche originali del grande compositore barocco inglese: “Music for a While” da Edipo, “My dearest, my fairest” da Pausanias the Betrayer, “If Music be the Food of Love” e “When I am Laid (Dido’s Lament)” da Dido and Aeneas. Mentre la seconda propone arrangiamenti britteniani di partiture originali di Purcell: “I Spy Celia”, “How Blest are Sheperds” da King Arthur e “Sound the Trumpet”.

Ad eseguire il raffinato programma, un ensemble di cantanti e strumentisti tutti in forza al Teatro Carlo Felice: Dania Palma (soprano), Patrizia Battaglia (contralto), Salvatore Gaias (tenore), Matteo Armanino (baritono), Andrea Gabriele De Venuto (viola da gamba), Francesco Lambertini (clavicembalo) e Patrizia Priarone (pianoforte). Al concerto partecipa il musicologo Massimo Arduino, che nelle pause tra un brano e l’altro leggerà la traduzione dei testi cantati e approfondirà il rapporto tra Britten e Purcell.

Ingresso: € 8 (intero), € 6 (ridotto under 26). Orari di biglietteria: martedì-venerdì dalle 11:00 alle 18:00, sabato dalle 11:00 alle 16:00 e un’ora prima dello spettacolo. Apertura domenicale in occasione del ciclo “Domenica in musica”: ore 10:30-11:15.

Barzellette alla stazione

Super User 31 Gennaio 2020 1032 Visite

Le stazioni sono posti di frontiera, di incontri fugaci, di contatti e di contaminazione. E’ in un luogo come questo, una piccola stazione terminale, che Ascanio Celestini ambienta il suo nuovo spettacolo BARZELLETTE tratto dal suo omonimo libro, con le musiche dal vivo di Gianluca Casadei, in scena da martedì 4 febbraio al Teatro della Corte.

Il titolo non deve ingannare troppo: il pluripremiato autore, esponente di spicco del teatro di narrazione, racconta le barzellette ma tra le pieghe della pièce si sente in filigrana quella sottile malinconia che scandisce la vita degli ultimi, protagonisti di tanti suoi lavori di successo come i recenti “Laika” e “Pueblo”.

«Calvino diceva che le fiabe sono vere. Ma sono scritte, sono letteratura. Anche le barzellette sono vere, parlano di noi, ma sono storte, si tramandano a voce. – Queste le parole di Ascanio Celestini che aggiunge - Le barzellette sono come treni: viaggiano perché qualcuno le racconta e le fa girare, descrivono popoli e mestieri».

Muovendo da questa convinzione l’autore si è cucito addosso il ruolo di un singolare capotreno pronto a raccogliere le tante storie buffe lasciate dalla fiumana quotidiana dei pendolari.

Fra un turno e l’altro egli parla con il becchino del paese mentre aspettano un emigrante arricchitosi all’estero che sta tornando al paese per farsi seppellire.

Nell’attesa il ferroviere racconta le barzellette “ereditate” da migliaia di viaggiatori e gioca a fare un po’ il filosofo e l’antropologo, appassionato osservatore di categorie umane. Il talento narrativo di Ascanio Celestini alterna sapientemente momenti di pura improvvisazione a storielle esilaranti, dissacranti, scorrettissime, in un gioco totalmente privo di moralismi e censure: così fra una risata e una riflessione, nel viaggio senza rotta della vita, un brogliaccio di barzellette diviene passe-partout per l’esplorazione della nostra esistenza. Raccontando e ascoltando barzellette diventiamo pescatori nell’inconscio e attraverso l’ironia riusciamo a sorridere di tutto, soprattutto di noi stessi, innescando una comprensione più profonda del mondo.

BARZELLETTE resta in scena al Teatro della Corte fino a giovedì 6 febbraio. Inizio spettacoli ore 20.30, giovedì ore 19.30.

Mercoledì 5 febbraio alle ore 18, presso la Feltrinelli Libri e Musica (via Ceccardi, Genova) avrà luogo un incontro con Ascanio Celestini. Interverrà Massimo Milella. Ingresso libero.

Da martedì 4 a giovedì 6 febbraio 2020 Teatro della Corte

BARZELLETTE

di e con Ascanio Celestini e con la musica dal vivo di Gianluca Casadei

regia Ascanio Celestini

Sabato, Famiglie a teatro

Super User 30 Gennaio 2020 899 Visite

La Rassegna per famiglie Sabato a teatro prosegue sabato 1 febbraio alle ore 16 alla Sala Mercato dove va in scena Voglio la luna, spettacolo adatto per bambini dai 3 anni, che ha ottenuto l’ambito premio Eolo Awards 2013 come miglior progetto educativo per il teatro ragazzi.
Fabio, interpretato da un giovane attore che ha la sindrome di Down, ci racconta la sua vita piena di giochi, sempre sospesa fra realtà e fantasia e spruzzata da una tenera comicità. Una notte d’improvviso si sveglia e, come per magia, si ritrova davanti la luna: è bellissima, grande, luminosa, incantevole e Fabio decide che vuole averla tutta per sé. Capirà presto che ci sono cose che appartengono a tutti e con un piccolo gesto magico condividerà lo splendore della luna con il pubblico dei bambini.La storia poetica ed onirica è accompagnata dalla narrazione, dal suono live di una fisarmonica e da scene di teatro di figura con pupazzi e ombre.  «Questo spettacolo nasce dall’incontro con Fabio – raccontano Simone Guerro e Lucia Palozzi, ideatori e registi dello spettacolo - Fabio ha uno sguardo aperto al mondo come quello dei più piccoli e la capacità di credere che se si vuole davvero qualcosa, sia possibile ottenerla. Ha lavorato da vero attore, con serietà e precisione, creando un personaggio unico, la cui simpatia è pari solo alla poeticità, donando a una storia “normale” la fragile e incomprensibile bellezza della vita». VOGLIO LA LUNA sarà preceduto alle ore 15 da un laboratorio curato dall’eco-negozio La Formica e incentrato sul gioco con i vestiti e la fantasia per metterci nei panni degli altri. Il laboratorio è incluso nel prezzo del biglietto ma è obbligatoria la prenotazione al numero 010 5342 720.La Rassegna Sabato a Teatro, curata da Giorgio Scaramuzzino e prodotta dal Teatro Nazionale di Genova con il sostegno di COOP Liguria e la collaborazione della rivista Andersen e dell’Eco-Negozio La Formica prosegue fino a metà marzo alternando spettacoli di produzione ad ospitalità delle migliori compagnie del settore.I biglietti per tutti gli spettacoli (bambini 6 euro, adulti 8 euro) sono disponibili presso tutte le biglietterie del Teatro Nazionale di Genova e online su happyticket.it e vivaticket.it. Tutte le info su teatronazionalegenova.it 

SABATO A TEATRO

1 febbraio 2020 ore 16 | Sala Mercato

VOGLIO LA LUNA

con Fabio Spadoni, Simone Guerro e Silvia Barchiesi

ideazione e regia Simone Guerro e Lucia Palozzi

La stella Bessonov al Carlo Felice

Super User 29 Gennaio 2020 1311 Visite

Un incontro straordinario, quello che avverrà sul palcoscenico del Teatro Carlo Felice venerdì 31 gennaio alle ore 20, nell’ottavo concerto della Stagione Sinfonica 2019/20, interamente dedicato alla musica di Čajkovskij. Sul podio, a dirigere l’Orchestra del Teatro Carlo Felice, il decano dei direttori d’orchestra russi, Vladimir Fedoseev, nato nel 1932 a S. Pietroburgo (quando ancora si chiamava Leningrado). E al pianoforte, come solista, il suo concittadino Ivan Bessonov, fenomeno della tastiera che, non ancora diciottenne, sta conquistando le platee di tutto il mondo e spopolando su youtube. Due musicisti distanti tre generazioni, ma appartenenti alla stessa tradizione, quella della grande scuola musicale russa che ha i suoi centri di formazione nei Conservatori di Mosca e S. Pietroburgo. E che a Genova si ritrovano uniti nel nome di Čajkovskij, compositore fondamentale sia per Fedoseev, che ne ha inciso le opere complete, che per il giovane Bessonov, che tra i suoi cavalli di battaglia ha il primo concerto composto da Čajkovskij per pianoforte e orchestra, l’op. 23 in si bemolle minore.

Apre il concerto proprio questa pagina famosissima, completata nel 1874, il cui tema introduttivo, trionfale e appassionato, è tra i più popolari dell’intero repertorio classico. Si tratta, infatti, di una composizione nota e amata anche da chi non è appassionato di musica sinfonica, grazie alle sue melodie facili da memorizzare e alla spettacolarità della parte pianistica. Una capacità di presa sull’uditorio che il cinema e la pubblicità hanno sfruttato ampiamente, contribuendo alla diffusione, tra tutti i tipi di pubblico, di questo caposaldo del repertorio per pianoforte e orchestra.

Nella seconda parte del concerto, la Sinfonia n. 4 in fa minore op. 36, composta nel 1877 seguendo una traccia letteraria incentrata sul dominio incontrastabile del fato sulle vicende umane (un soggetto caro a Čajkovskij). La sinfonia, scritta in uno stato di forte coinvolgimento emotivo, è dedicata a Madame von Meck, mecenate di Čajkovskij e ammiratrice della sua musica al limite dell’esaltazione.

Il concerto fa parte del ciclo “Vi presento il Maestro”, un’iniziativa del Progetto Educational del Teatro Carlo Felice grazie alla quale gli studenti possono incontrare i direttori e i solisti prima di assistere alla prova generale. Venerdì mattina, per conoscere da vicino Fedoseev e Bessonov e poi ascoltarli esibirsi, è prevista in teatro la presenza di quasi 500 studenti delle scuole medie inferiori provenienti da tutta la regione.         

Teatro Carlo Felice
Venerdì 31 gennaio 2020 – ore 20.00
Stagione Sinfonica 2019/20
Concerto n. 8

Direttore: Vladimir Fedoseev

Pianoforte: Ivan Bessonov

Orchestra del Teatro Carlo Felice

Mare Faber e Trallallero Levantin

Super User 28 Gennaio 2020 1265 Visite

Perché scrivere (o comprare) un nuovo libro su Fabrizio de André quando ce ne sono già ben 170 in circolazione? Questa è la prima domanda a cui risponde, preventivamente, Guido Festinese, autore di “Mare Faber: le storie di Crêuza de mä”, il volumetto che è stato presentato a l’Amico Ritrovato, vivace libreria in cima a Via Luccoli.

È una sera d’inverno genovese, a fine gennaio. Il nome di “Faber” richiama sempre l’attenzione della comunità genovese e, infatti, la saletta al centro della libreria è talmente piena di persone che si aggiungono sedie. Dietro a tutto questo, però, c’è quasi un equivoco: la risposta alla domanda preliminare potrebbe essere infatti che questo non è l’ennesimo libro sulla figura di Fabrizio de André, questo è un libro su un disco solo: Crêuza de mä.

Guido Festinese è un noto critico musicale, docente di storia ed estetiche delle musiche afroamericane, consulente musicale per Radiotre e per il Comune di Genova, ex-direttore della rivista World Music Magazine. Nell’ambiente è noto per la sua grande cultura (anche fuori dall’ambito strettamente musicale) e per la capacità di investire il proprio uditorio con quelli che lui stesso chiama ironicamente “monologhi stordenti”, dove passa saccadicamente da un aneddoto all’altro, tratteggiando complessi affreschi di storia della musica. Questo è ciò che ha fatto alla presentazione del suo libro, muovendosi da Aulo Gellio a Mauro Pagani, passando per suggestioni di dialetto sardo e per le Cantigas de Santa Maria di Alfonso Decimo, re di Castiglia nella seconda metà del milleduecento.

Questa grande versatilità si trova in “Mare Faber”, un’opera che ripercorre la storia di quello che è uno dei dischi più iconici del cantautorato genovese e che il regista Wim Wenders ha definito “l’album più bello nella storia moderna della musica”. Festinese mette in luce la profonda complessità delle cose, come ogni storia ne possa contenere altre e come questa cosa sia particolarmente vera per quelle opere che siamo soliti chiamare “classici” o “capolavori”.

Leggendo questo libro, edito da  Galata Edizioni, si scoprono in continuazione cose nuove e inimmaginabili come, per esempio, che la copertina di Crêuza de mä è una foto di Jay Maisel, autore dell’iconica copertina di un altro album fondamentale della storia della musica: Kind of Blue di Miles Davis. Oppure si apprende che, nonostante venga considerato il disco più rappresentativo della canzone in genovese, Crêuza de mä non avrebbe dovuto nemmeno essere inciso in genovese, bensì in arabo o in una qualche altra lingua franca del mediterraneo. Questo e altri aneddoti si trovano in quello che è senz’altro un approfondimento di alto livello, gestito con una grande e benefica disinvoltura e corredato di bibliografia. Non qualcosa di generico e ordinario, quindi, bensì qualcosa sopra le righe e sopra le sterile celebrazione, qualcosa in cui perdersi.

Infine va detto, che alla presentazione del 28 gennaio erano presenti anche alcuni elementi dell’Orchestra Bailam e dei Canterini Genovesi che presentavano a loro volta il loro ultimo disco [Trallallero Levantin] e che hanno dialogato in musica con Festinese, riempendo animi e sala di una commuovente leggerezza in dialetto.

 

Corrado Fizzarotti

Antigone di Sofocle

Super User 28 Gennaio 2020 1459 Visite

Antigone di Sofocle è un Classico con la “C” maiuscola. Qualcosa che, nonostante sia vecchio di quasi 2500 anni, colpisce ancora nel vivo la nostra sensibilità di occidentali moderni.

Proprio per questo motivo, metterlo in scena si potrebbe definire contemporaneamente una scelta facile e difficile.
La versione con la regia di Laura Sicignano ha debuttato sul palcoscenico della Corte la sera del 28 gennaio ed è stata premiata da un notevole entusiasmo di pubblico. La sala era piena, come si addice alla prima di un testo che, bene o male, tutti conoscono. I temi di quest’opera sono quanto mai attuali: il rapporto tra la legge dello stato e la legge morale, tra l’ordine costruito dagli uomini e quello che viene prima di loro, l’incomprensibile ordine degli dei.

Antigone è la figlia di Edipo, lo sventurato protagonista di un’altra tetralogia sofoclea, e in questo dramma si batte per ottenere una degna sepoltura per suo fratello Polinice, morto assediando Tebe, la città in cui si svolge l’azione. Le si contrappone Creonte, zio della ragazza e legittimo sovrano, che nel nome delle leggi degli uomini non intende tributare una degna sepoltura ad un nemico. Da una parte troviamo un principio antico, intimo, di pietà interiore; dall’altra vediamo invece la forza delle leggi e del principio di autorità. La domanda si formula facilmente e brucia in tutta la sua attualità: “fino a che punto è giusto disobbedire ad una legge ingiusta?”

In questa messinscena la contrapposizione tra Antigone e Creonte è nettamente caratterizzata e non lascia spazio a tentennamenti di prospettiva. Il sovrano interpretato da Sebastiano Lo Monaco è una figura istrionica, enorme, arrogante, rigida in alcuni momenti ed estremamente dinamica in altri. Barbara Moselli invece ci mostra un’Antigone carica di quella femminilità ancestrale così vicina ad alcune corde della tragedia greca e, contemporaneamente modernissima, fiera e disperata allo stesso tempo. In questa versione, la tragedia di Sofocle assume una connotazione quasi politica e perde un po’ della duplicità drammatica che sarebbe presente nel suo impianto originale, dove la contrapposizione tra i due protagonisti è uno scontro tra modi di intendere il mondo, senza buoni e cattivi. In ogni caso, la possibilità di contenere più di un messaggio sta proprio nella grandezza dei classici e, questa versione di Laura Sicignano resta comunque qualcosa di esteticamente enorme.

La scenografia e la regia sono decisamente presenti e “parlanti” all’interno della rappresentazione. Il setting ricreato da Guido Fiorato è qualcosa di senza tempo ma non astratto. I personaggi si muovono su una scena fatta di rigide strutture di legno, sotto ad una specie di piramide composta da tre travi di acciaio arrugginito. Gli ambienti rispondono all’azione e donano il giusto controcanto agi eventi, aprendosi, chiudendosi, crollando sulla sabbia che realmente ricopre il palco e viene utilizzata dinamicamente dagli attori. Si tratta di una narrazione dinamica e per immagini che si integra perfettamente al testo recitato, aiutata da due elementi decisamente caratteristici: l’uso intelligente delle luci da parte di Gaetano La Mela e, soprattutto, dalle musiche originali, che sono eseguite dal vivo da Edmondo Romano, in disparte sul palcoscenico ma comunque ben visibile dal pubblico.

In conclusione, quella in scena alla Corte fino al 2 febbraio è una rappresentazione notevole, che dimostra come si può rendere un testo moderno senza per forza stravolgerlo, coniugando significati moderni ad uno spirito dionisiaco e antico, invocato diverse volte anche nel testo.

Corrado Fizzarotti

La macchina del fango alla Corte

Super User 26 Gennaio 2020 884 Visite

Tutto esaurito al teatro della Corte per “L’onore perduto di Katharina Blum”, tratto dal romanzo di Heinrich Boll: due ore e 15 di atto unico, che scorrono via in un lampo anche grazie alla regia incalzante di Franco Però e a una scenografia essenziale, basata sui cambi di luce (palco quasi in bianco e nero) e sugli incastri degli arredi e degli ambienti. A fare da trait d’union è lei, Katharina Blum: governante domestica che mette in scena il dramma di una vita ordinaria, scandita agli orari di lavoro e dai meccanismi consolatori di una vita da single. Una vita spazzata via dalle calunnie e dalla maldicenza: una macchina del fango costruita al solo fine di vendere qualche copia in più di giornale, senza preoccuparsi delle conseguenze per la vittima.

Per raccontare la sua storia, Boll sceglie la via del giallo: che poi si tramuta in denuncia sociologica. Katharina Blum, dopo un’infanzia difficile e il divorzio da un marito violento e prevaricatore, si trasferisce a Colonia e inizia a lavorare in casa dei coniugi Trude e Hubert Blorna. Vanno in scena una cura maniacale della pulizia e dell’ordine, un’organizzazione teutonica del lavoro e della vita, che servono evidentemente ad anestetizzare e neutralizzare le ansie e le paure esistenziali. La costante è quella di una difesa del suo libero arbitrio femminile, della sua libertà sessuale, della sua volontà di concedersi o meno. Una difesa che non conosce cedimenti, anche a costo della rinuncia.

La manovra riesce così bene che Katharina sembra serena e realizzata: non felice, perchè la felicità non serve. Poi una sera, dopo sei anni di clausura, la ragazza va a ballare: ed è l’inizio della fine.

Alla festa Katharina conosce Ludwig Götten, un rapinatore di banca sospettato di terrorismo e ricercato dalla polizia. E’ il 1974, periodo di anni di piombo anche in Germania: e questo alimenta la psicosi del “pericolo rosso”. Ma Katharina di questo non sa nulla. Tra i due giovani scocca l’amore a prima vista, e la ragazza aiuta Ludwig a scappare. La ragazza viene interrogata dalla polizia come persona informata dei fatti: e tale resta fino a quando interviene Werner Totges, giornalista di un tabloid locale. Tötges scandaglia in profondità la vita di Katharina, contattando tutti i suoi amici e familiari, incluso l'ex marito. Manipolando e distorcendo le informazioni raccolte, trasforma Katharina prima in una complice del bandito e poi in una vera e propria estremista.

La vita di Katharina è sconvolta: la ragazza riceve minacce e offese, i suoi conoscenti vengono emarginati, il suo onore viene definitivamente compromesso. La polizia e lo Stato non la tutelano attivamente. Dapprima disperata, poi lucida nel suo isolamento, Katharina Blum si vendica uccidendo il giornalista Tötges: che aveva tentato un approccio sessuale con lei, rivelandosi non migliore dei comportamenti che aveva stigmatizzato nei suoi articoli. Ottima l’interpretazione di Elena Radonicich nel ruolo di Katharina e di Peppino Mazzotta (quello che interpreta Fazio nella fiction Montalbano) nel ruolo dell’avvocato Hubert Blorna, innamorato della ragazza ma troppo rispettoso della sua essenza di donna e dei suoi sentimenti per tentare di comprometterla.

Paolo Fizzarotti

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