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Mare Faber e Trallallero Levantin

Perché scrivere (o comprare) un nuovo libro su Fabrizio de André quando ce ne sono già ben 170 in circolazione? Questa è la prima domanda a cui risponde, preventivamente, Guido Festinese, autore di “Mare Faber: le storie di Crêuza de mä”, il volumetto che è stato presentato a l’Amico Ritrovato, vivace libreria in cima a Via Luccoli.

È una sera d’inverno genovese, a fine gennaio. Il nome di “Faber” richiama sempre l’attenzione della comunità genovese e, infatti, la saletta al centro della libreria è talmente piena di persone che si aggiungono sedie. Dietro a tutto questo, però, c’è quasi un equivoco: la risposta alla domanda preliminare potrebbe essere infatti che questo non è l’ennesimo libro sulla figura di Fabrizio de André, questo è un libro su un disco solo: Crêuza de mä.

Guido Festinese è un noto critico musicale, docente di storia ed estetiche delle musiche afroamericane, consulente musicale per Radiotre e per il Comune di Genova, ex-direttore della rivista World Music Magazine. Nell’ambiente è noto per la sua grande cultura (anche fuori dall’ambito strettamente musicale) e per la capacità di investire il proprio uditorio con quelli che lui stesso chiama ironicamente “monologhi stordenti”, dove passa saccadicamente da un aneddoto all’altro, tratteggiando complessi affreschi di storia della musica. Questo è ciò che ha fatto alla presentazione del suo libro, muovendosi da Aulo Gellio a Mauro Pagani, passando per suggestioni di dialetto sardo e per le Cantigas de Santa Maria di Alfonso Decimo, re di Castiglia nella seconda metà del milleduecento.

Questa grande versatilità si trova in “Mare Faber”, un’opera che ripercorre la storia di quello che è uno dei dischi più iconici del cantautorato genovese e che il regista Wim Wenders ha definito “l’album più bello nella storia moderna della musica”. Festinese mette in luce la profonda complessità delle cose, come ogni storia ne possa contenere altre e come questa cosa sia particolarmente vera per quelle opere che siamo soliti chiamare “classici” o “capolavori”.

Leggendo questo libro, edito da  Galata Edizioni, si scoprono in continuazione cose nuove e inimmaginabili come, per esempio, che la copertina di Crêuza de mä è una foto di Jay Maisel, autore dell’iconica copertina di un altro album fondamentale della storia della musica: Kind of Blue di Miles Davis. Oppure si apprende che, nonostante venga considerato il disco più rappresentativo della canzone in genovese, Crêuza de mä non avrebbe dovuto nemmeno essere inciso in genovese, bensì in arabo o in una qualche altra lingua franca del mediterraneo. Questo e altri aneddoti si trovano in quello che è senz’altro un approfondimento di alto livello, gestito con una grande e benefica disinvoltura e corredato di bibliografia. Non qualcosa di generico e ordinario, quindi, bensì qualcosa sopra le righe e sopra le sterile celebrazione, qualcosa in cui perdersi.

Infine va detto, che alla presentazione del 28 gennaio erano presenti anche alcuni elementi dell’Orchestra Bailam e dei Canterini Genovesi che presentavano a loro volta il loro ultimo disco [Trallallero Levantin] e che hanno dialogato in musica con Festinese, riempendo animi e sala di una commuovente leggerezza in dialetto.

 

Corrado Fizzarotti

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