Antigone di Sofocle
Antigone di Sofocle è un Classico con la “C” maiuscola. Qualcosa che, nonostante sia vecchio di quasi 2500 anni, colpisce ancora nel vivo la nostra sensibilità di occidentali moderni.
Proprio per questo motivo, metterlo in scena si potrebbe definire contemporaneamente una scelta facile e difficile.
La versione con la regia di Laura Sicignano ha debuttato sul palcoscenico della Corte la sera del 28 gennaio ed è stata premiata da un notevole entusiasmo di pubblico. La sala era piena, come si addice alla prima di un testo che, bene o male, tutti conoscono. I temi di quest’opera sono quanto mai attuali: il rapporto tra la legge dello stato e la legge morale, tra l’ordine costruito dagli uomini e quello che viene prima di loro, l’incomprensibile ordine degli dei.
Antigone è la figlia di Edipo, lo sventurato protagonista di un’altra tetralogia sofoclea, e in questo dramma si batte per ottenere una degna sepoltura per suo fratello Polinice, morto assediando Tebe, la città in cui si svolge l’azione. Le si contrappone Creonte, zio della ragazza e legittimo sovrano, che nel nome delle leggi degli uomini non intende tributare una degna sepoltura ad un nemico. Da una parte troviamo un principio antico, intimo, di pietà interiore; dall’altra vediamo invece la forza delle leggi e del principio di autorità. La domanda si formula facilmente e brucia in tutta la sua attualità: “fino a che punto è giusto disobbedire ad una legge ingiusta?”
In questa messinscena la contrapposizione tra Antigone e Creonte è nettamente caratterizzata e non lascia spazio a tentennamenti di prospettiva. Il sovrano interpretato da Sebastiano Lo Monaco è una figura istrionica, enorme, arrogante, rigida in alcuni momenti ed estremamente dinamica in altri. Barbara Moselli invece ci mostra un’Antigone carica di quella femminilità ancestrale così vicina ad alcune corde della tragedia greca e, contemporaneamente modernissima, fiera e disperata allo stesso tempo. In questa versione, la tragedia di Sofocle assume una connotazione quasi politica e perde un po’ della duplicità drammatica che sarebbe presente nel suo impianto originale, dove la contrapposizione tra i due protagonisti è uno scontro tra modi di intendere il mondo, senza buoni e cattivi. In ogni caso, la possibilità di contenere più di un messaggio sta proprio nella grandezza dei classici e, questa versione di Laura Sicignano resta comunque qualcosa di esteticamente enorme.
La scenografia e la regia sono decisamente presenti e “parlanti” all’interno della rappresentazione. Il setting ricreato da Guido Fiorato è qualcosa di senza tempo ma non astratto. I personaggi si muovono su una scena fatta di rigide strutture di legno, sotto ad una specie di piramide composta da tre travi di acciaio arrugginito. Gli ambienti rispondono all’azione e donano il giusto controcanto agi eventi, aprendosi, chiudendosi, crollando sulla sabbia che realmente ricopre il palco e viene utilizzata dinamicamente dagli attori. Si tratta di una narrazione dinamica e per immagini che si integra perfettamente al testo recitato, aiutata da due elementi decisamente caratteristici: l’uso intelligente delle luci da parte di Gaetano La Mela e, soprattutto, dalle musiche originali, che sono eseguite dal vivo da Edmondo Romano, in disparte sul palcoscenico ma comunque ben visibile dal pubblico.
In conclusione, quella in scena alla Corte fino al 2 febbraio è una rappresentazione notevole, che dimostra come si può rendere un testo moderno senza per forza stravolgerlo, coniugando significati moderni ad uno spirito dionisiaco e antico, invocato diverse volte anche nel testo.
Corrado Fizzarotti