Pietra d'inciampo in via Buozzi: Orazio Robello è tornato a casa
Orazio Robello, militare della Marina, aveva 30 anni, abitava qui al 18 di via Buozzi, a Sampierdarena, con la moglie e il figlio Alberto, appena nato. Lo hanno arrestato i tedeschi, nel luglio del 44. Aveva detto “no” alla Repubblica di Salò. Prima il carcere. Poi, con altri 432 militari, la deportazione nel campo di Flossemburg, in Germania, sul Trasporto 81, primo di tre convogli, partiti da Milano verso la morte. Erano diventati solo numeri, marchiati dal Triangolo Rosso. Orazio Robello, morirà sfinito in una cava, nel dicembre del '44.
Oggi il suo spirito è tornato a casa. Da stamattina, c’è murata sulla via una pietra d’inciampo in sua perenne memoria. È riuscita a farla mettere Raffaella, la nipote, facendo un lungo e appassionato lavoro di ricerca. Con l’appoggio decisivo dell’avvocato Filippo Biolè, presidente genovese dell'Associazione ex Deportati. Loro, la comunità ebraica e l'associazione Partigiani, curano la ricerca di chi fu assassinato da nazisti e fascisti.
La sua pietra d’inciampo è la 25esima a Genova. In Europa e Sud America sono 105 mila, tutte prodotte da Gunter Demnig, il suo inventore tedesco. C’è un percorso da seguire: indagini, giudizio, pietra, per la quale si paga alla Fondazione Demnig una piccola cifra, 175 euro. Giusta precauzione contro il fai da te.
Orazio era il papà di Alberto Robello, mio giovanissimo collega al quotidiano Il Lavoro, poi capo dell’Ansa di Aosta e di Genova, portato via nel fiore delle sue capacità, e dei suoi affetti, da una malattia neurovegetativa.
C’è un progetto: affidare la cura delle pietre ai ragazzi delle scuole di Genova, per capirne il valore e difendere la memoria.
Paolo Zerbini
Alberto Robello