Ciao Mario, ricordo quando ti chiamavo “socialista”
Vecchia amicizia, al di là e oltre il giornalismo, quella mia con Mario Bottaro, che se n’è andato in silenzio, la sera del 2 giugno.
Ci eravamo conosciuti negli anni ‘60, giovanissimi entrambi ed entrambi nel movimento giovanile della Dc, nella storica sede di via Caffaro.
Quando lo chiamavo “socialista”, è la prima cosa, affettuosa, che mi ha percorso la mente leggendo sullo schermo del pc, nella mia casa di montagna per qualche giorno di tentativo di relax pur senza staccare dal lavoro, la notizia che Mario ci ha lasciato.
Sono rimasto impietrito, anche se sapevo che non stava benissimo e da un po’ non lo sentivo, né lo vedevo.
Illo tempore eravamo impegnati in politica per passione e con passione; credevamo nelle nostre idee, avevamo ideali. Immersi in quella storica Dc cui il Paese deve ancora tanto ed allora, all’ombra della nostra Lanterna, dei vari Bonelli, Ghio, Lucifredi, Taviani, Cuocolo, e tanti, tanti altri statisti e signori della politica, competenti, professori, rispettosi e comprensivi di tutto e tutti.
Era certamente anche la Dc delle correnti spesso contrapposte pure fieramente, ma con grande capacità tuttavia di restare unita nel momento del confronto con le altre forze avendo basi filosofiche ed ideali comunque comuni a chiunque militasse sotto lo scudocrociato.
Io ero tra i cosiddetti centristi, mentre Mario faceva parte di quella Dc che guardava un po’ più a sinistra. Anche se tutto va comparato alle epoche, ai tempi ed alle situazioni di allora. Vedasi Peppone e don Camillo.
E siccome mi viene spontaneo pensare che ironia e battuta sdrammatizzano e uniscono, ricordo che lo salutavo scherzosamente dicendo “ciao socialista”. Quando – si ricordi – il Psi era alleato del Pci. Altri tempi, altro mondo.
Lui rideva e mi rispondeva qualcos’altro che non ricordo, mentre mi è sempre chiara la simpatica amicizia che ci univa, anche al di fuori da via Caffaro.
Terminata quell’esperienza politica, andammo ciascuno per la sua strada. Facemmo scelte diverse. Io imprenditore e designer; lui giornalista, scrittore.
Ci rincontrammo anni dopo, quando lui era già affermato nel mondo dell’informazione e io agli inizi da giovane cronista.
Ricordo che reciproca piacevolezza avessimo provato in quegli incontri, tra ricordi del passato e pensiero al futuro in un’Italia piena di speranze e grandi progetti. Con entrambi che avevamo da raccontarci molto, perché cose ne avevamo fatte tante nel post via Caffaro.
Mi seguiva, mi disse, nelle mie corrispondenze da Sampierdarena per Il Giornale di Montanelli, all’epoca a Genova targato Gianni Vassallo, mio pigmalione.
Il suo incitamento, i suoi consigli, mi sono stati preziosi. Erano saggi e affettuosi. Vedersi e sorridersi era un mantra e tra i tanti ricordi c’è quello delle sue battute sui miei (allora) tanti braccialetti, ma anche i complimenti per le mie molte news su Sampierdarena, zona dove c’era la sede della mia attività imprenditoriale. Spesso anche esclusive, mi assicurava.
Fu anche cliente della mia azienda di arredamenti. Ricordo casa sua. Ebbi con lui anche qualche collaborazione giornalistica.
Tanti amarcord, tante emozioni che mi sono letteralmente turbinate nella mente, vedendo la sua foto e pensando alla sua partenza senza mai più ritorno di inizio giugno.
Quando se ne vanno certi personaggi stimabili, onesti, con cui hai da ricordare soltanto momenti piacevoli, se va un pezzo della tua vita.
E se si tratta di persone ed amici come Mario Bottaro, la commozione è particolarmente forte.
Dino Frambati