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Giorno del Ricordo: un lungo periodo di memoria, riconciliazione e speranza

Gian Luca Buccilli

Il lungo e doloroso percorso fatto dalle popolazioni del confine orientale italiano è diventato memoria collettiva grazie alla legge 92 del 30 marzo 2004, che ha istituito il Giorno del Ricordo, da celebrare il 10 febbraio di ogni anno.

La ricorrenza civile è dedicata alla commemorazione delle migliaia di vittime italiane che tra il 1943 e il 1947 vennero catturate, uccise e gettate nelle cavità carsiche (le cosiddette foibe) dalle milizie jugoslave, e dei circa 350 mila istriani, fiumani e dalmati che, in quel tragico secondo dopoguerra, furono costretti a lasciare le loro terre.

Quei territori, che allora rientravano nel confine orientale italiano, avevano visto per secoli, sia sotto la Repubblica di Venezia sia sotto l’Impero Asburgico, la pacifica convivenza di popolazioni di origine italiana, che erano la stragrande maggioranza soprattutto nei paesi e nelle città costiere istriane e dalmate, e di popolazioni di etnia slava (croati e sloveni), più numerose nelle aree agricole interne.

L’equilibrio e la convivenza si ruppero con i diversi regimi e i fatti sanguinosi del Novecento.

L'orrore, provocato da una pianificata volontà di epurazione su base etnica e nazionalistica, ebbe iniziò nel 1943, dopo la firma dell’armistizio dell’8 settembre.

In Istria e in Dalmazia i miliziani titini si vendicarono contro i fascisti per la loro italianizzazione forzata e per le violenze subite dalla popolazione slava.

Con loro furono torturati e gettati nelle foibe anche altri italiani, considerati (con grande approssimazione) collaborazionisti del deposto regime fascista e delle forze di occupazione nazista. 

La tragedia degli eccidi e del cosiddetto esodo giuliano dalmata fu a lungo trascurata dalle istituzioni, anche per motivi di opportunità legati ai rapporti diplomatici con la Jugoslavia.

Con la caduta del Muro di Berlino (e i fatti che ne sono stati la conseguenza), soprattutto con la dipartita del Maresciallo Tito e la dissoluzione dell'ex Jugoslavia è stato avviato un percorso di riconoscimento della memoria storica, culminato con l’iniziativa legislativa del 2004. 

Come ricordato dal Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, "la sciagurata guerra voluta dal fascismo e l'occupazione nazista furono seguite, per questi italiani, da ostilità, repressione, terrore, esecuzioni sommarie, aggravando l'orribile succedersi di crimini contro l'umanità di cui è testimone il Novecento.

Crimini che le genti e le terre del confine orientale hanno vissuto con drammatica intensità, generando scie di risentimento e incomprensione che a lungo hanno segnato le relazioni tra popoli vicini". 

Prosegue il nostro Capo dello Stato: "l'Europa nata dalla pace e il dialogo ravvivato dall'affermazione delle democrazie hanno aperto e sviluppato una strada nuova.

Queste memorie hanno guadagnato rispetto, dignità, ascolto.

Sono storia vissuta, monito e responsabilità per il futuro".

Il ricordo, anche il più doloroso, anche quello che trae origine dal male, può diventare seme di pace e di crescita civile.

Questo è l'impegno di cui negli ultimi anni l'Italia si è resa protagonista insieme alla Slovenia e alla Croazia per fare delle zone di confine una terra di incontro e prosperità, di collaborazione e di speranza; per guardare a un orizzonte condiviso, nella comune appartenenza alla famiglia europea.

Proprio a Gorizia, città simbolo, "piagata" dalle ferite della storia, si avverte oggi il senso di un pluralismo ritrovato e quella unità di intenti che proprio qui viene ad assumere un significato autentico e profondo.

Dopo la prima guerra mondiale, quando divenne italiana, Gorizia fu progressivamente obbligata a rinunciare a quelle caratteristiche di pluralismo etnico e culturale che l'avevano qualificata come una delle più autorevoli espressioni del mondo mitteleuropeo.

Nel 1947, la cortina di ferro imposta dalla guerra fredda la tagliò letteralmente a metà; un pezzo della città passò alla Jugoslavia e acquisì la denominazione di Nova Gorica.

Gorizia e la "gemella" Nova Gorica, di comune accordo, hanno avanzato la loro candidatura e sono state proclamate Capitale della Cultura europea 2025.

Questo dimostra quanto importante sia per l'intera Unione che la memoria delle oppressioni del passato sia divenuta ora strada della comprensione reciproca, del primato della dignità delle persone, nel rispetto delle diversità e dei diritti.

 

Gian Luca Buccilli
Capogruppo di Civica in Comune a Recco

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