Il mio Sinisa e la nostra chiesa in Carignano
Io giornalista che di sport ha scritto pochissimo, dedito invece a tutti gli altri argomenti e temi dell’informazione, non tifoso, è capitato di conoscere per caso e senza alcun riferimento sportivo quell’uomo di nobile animo oltre che di eccezionale piede che è stato Sinisa Mihajlovic.
Strappato ad una bella famiglia personale ed all’affascinante ed importante mondo dello sport da un evento che appare crudele ed ingiusto.
Il mio ricordo è che lui, all’epoca allenatore della Sampdoria, alloggiava in un hotel di via Corsica, zona Carignano. Era uomo di fede e io lo incontravo, con tuta colorata di blucerchiato, quasi tutte le mattine poco prima delle 8, presso la chiesa del Sacro Cuore e San Giacomo di Carignano. Entrambi, prima di iniziare la giornata, sentivamo il bisogno di un attimo di dialogo con il Padre Eterno e magari con i nostri cari estinti.
Chiesa dove mi capitava di incrociare spesso pure don Badget Bozzo. Carignano era la zona che ci univa.
Io in quella chiesa passavo un attimo, il tempo di una preghierina. Giorno dopo giorno, a forza di incrociarci, è finita che con il calciatore- allenatore ci salutavamo come dire: “tutti i giorni qua, stessa ora in un tempio sacro, praticamente deserto”.
Da lì a finire con lo scambiare due parole sugli scalini che portavano alla chiesa, ci sono voluti pochi giorni. Gli ho detto che ero giornalista, ma di calcio non scrivevo, specificandogli di cosa mi occupavo. Lui non aveva bisogno di presentazioni ma era uomo di tanta umiltà e grandezza morale, che me lo ha voluto precisare.
Ci siamo fatti anche una risata quando gli rivelai, io assolutamente non tifoso e neppure appassionato di calcio, che i miei congiunti, fratello che allora era in vita, ed i miei nipoti, tifavano rossoblù, Così come mio padre imprenditore a Sampierdarena, terra sampdoriana per antonomasia, era genoano.
Lui mi raccontava che andava a far allenare la squadra, io che andavo presso la azienda a Sampierdarena, che allora ancora esisteva. Ma prima di questo, mi rendeva sereno quella breve visita in chiesa.
Lui annuiva, a confermare che avevamo identico sentire ed anelito di anima e sentimento.
Poche parole, veloci, ma belle.
Questo è il Sinisa, che a Genova tanti e tanti altri hanno conosciuto ben più di me. Ma persona che non poteva non restare impressa anche nella brevità di quegli incontri pur superficiali.
Oggi non riesco a dimenticarli; li ho davanti perché non si può morire a 53 anni.
Amarcord con la certezza che il campione sarà in Paradiso. Primo in classifica non per meriti sportivi ma piuttosto per il suo animo splendido ed onesto che supera tutti i valori relativi ed esalta invece quelli etici e sentimentali in una società che da troppo tempo forse li dimentica e persino non li manifesta per impudica vergogna.
Dino Frambati