Statistiche e ceto medio
Le statistiche sono uno strumento di lavoro efficace per un giornalista e sono molto utili per raccontare
la realtà alla gente, impegno proprio di chi fa informazione. Ma non sono il Vangelo, vanno prese “cum grano salis” e quindi non come verità assolute.
Fare buon giornalismo significa leggerle con attenzione e quindi alzare lo sguardo e parametrarle con la vita quotidiana, con quello che vediamo attorno a noi o girando il mondo. Esperienze personali e contatti con la gente per avere dei “campioni” sui quali lavorare, cercando personalmente la notizia e verificando nei fatti come e quanto la statistica fotografi effettivamente la quotidianità. La scientificità e la professionalità di chi fa statistiche non è da mettere in dubbio perché è certa. Ma la vita è diversificata, strana e con aspetti talvolta non classificabili. In questo senso leggo come l'Istat, sicuramente massima istituzione fornitrice di dati sull'evoluzione della società civile e tradizionalmente precisa, ci informa che l'Italia è uscita dalla crisi con tendenza a proseguire questa strada, anche se crescono diseguaglianze ed il Bel Paese è vecchio.
Concordo su queste ultime due indicazioni, non sulla prima. La crisi resiste ed è spaventosa. Appare evidente, al di là di tutto, il disastro economico del ceto medio, imprenditoriale, artigiano, della media e piccola imprenditoria italiana che ha visto crollare nel giro di dieci anni a dire tanto, il suo tenore di vita. Chi aveva dieci oggi facilmente si ritrova con 2-3, 4 al massimo e quando va bene. Dati anche questi non scientifici certamente, ma reali. Basta vedere la desolazione urbanistica, il traffico crollato ovunque rispetto al passato, le serrande abbassate. E soprattutto ascoltare le persone. Scenario impossibile da negare perché l'apparenza talvolta non inganna. Ceto medio vittima di una politica sbagliata che ha favorito i grandi gruppi e le multinazionali e massacrato da 50 anni ed oltre di inspiegabile acredine sociale, quando il macellaio sotto casa era considerato un “padrone” al pari di Gianni Agnelli. Una demolizione durata molti anni e che ha avuto il suo epilogo quando la crisi economica ha falcidiato i consumi e le botteghe, mentre i grandi gruppi, le holding non hanno riassorbito questa diaspora di lavoratori autonomi o loro dipendenti ma creato posti di lavoro spesso non adeguatamente pagati o precari. E parallelamente al crollo del ceto medio è andata a picco l'economia italiana più che quella di altri Stati, dove tale mentalità non c'è mai stata. Sono scesi occupazione, ricchezza, benessere. E oggi mi stupisce che molti di quegli stessi che erano allineati su questo assurdo dualismo padroni- operai, contrapponendo classi sociali economicamente vicine, adesso si stracciano i capelli perché i negozi chiudono. Dopo aver alimentato per decenni un ragionamento sbagliato. Se il dipendente, operaio, impiegato o similare aveva 10 e il piccolo imprenditore anche 100, il grande potente economico aveva 100 mila. Stratosferica differenza rispetto ai primi due, distanti certamente ma non anni luce come il pluri multi miliardario ed il benestante. Convertiti sulla via di Damasco molti demagoghi del sociale hanno finalmente capito che in medio stat virtus e che le partite si vincono a centrocampo.
Piaccia o no, è andata così. Del resto da sempre, dai secoli scorsi ad ora, sono stati i mercanti a fare il mercato ed a muovere merci e denaro. Distrutti nell'era più progredita del mondo costoro, si sta formando una società fatta da pochi ricchi e molti sottoposti, poveri, che lottano per sopravvivere agli ordini di chi ha tanto denaro e governa a suo piacimento l'economia. Sorta di dittatura economica e simile a quanto accade in politica dove, quando il potere è in mano ad una limitata nomenklatura, vengono meno libertà di pensiero e democrazia. Per contrastare questo andazzo, che finirà con il creare il 90 per cento di non benestanti, occorre incentivare l'autonomia lavorativa, abbattendo la burocrazia e permettendo a chi vuole porre in essere un'attività pur di limitate dimensioni e magari fatta dal solo stesso piccolo imprenditore, di avere strada facilitata in tutti i passaggi, senza asfissiarlo di adempienze, ma trattandolo da benemerito qual'è che rischia certamente per guadagnare e stare bene lui stesso, ma che, così facendo, finirà pure con dare innesco ad una spirale di indotto economicamente vivace. Se aspettiamo per noi e per i nostri giovani che qualcuno si faccia carico della nostra vita, beh potrà anche accadere ma si sappia che dipenderemo da lui e soprattutto dal suo interesse ed inoltre, oggi, trovare un posto di lavoro certo e pagato adeguatamente è impresa ardua. A volte quasi impossibile.
Dino Frambati
www.dinoframbati.com