Marco Mascardi era ligure
Scopo per caso da un necrologio che è mancato Marco Mascardi e che oggi si sono celebrati i funerali
ad Arma di Taggia, costa sanremese, dove da anni risiedeva.
Ne sono infinitamente addolorato. Marco legava i miei ricordi di una stagione del giornalismo milanese, pieno di idee e di creatività, pieno di successi e di soldi. Non ancora avvelenata dalla politica e mortificata da una triste mediocrità.
Marco lo conobbi che lavorava in piazza Cavour al Corriere Lombardo, il quotidiano del pomeriggio diretto da Benso Fini, il papà di Massimo. Era un cronista acuto, soprattutto di bianca, raccontava la vita non le morti di Milano.
Estroso e imprevedibile - matto come un cavallo, dicevano affettuosamente gli amici - un giorno comprò una MG spider, quella col cofano motore affibbiato con cinghiette di cuoio. e propose al giornale un reportage dal vivo attraverso l'Europa con lui e la moglie in viaggio.
Non erano più i tempi di Barzini e dei e dei tempi del raid Parigi-Pechino, e un'operazione del genere non poteva rientrare nelle dimensioni economiche e diffusionali del Corriere Lombardi, che difatti di lì a poco si fuse con La Notte di Nino Nutrizio echiuse.
Fu la fortuna di Mascardi che emigrò a "Grazie" settimanale galoppante della Mondadori diretto da un genio del giornalismo elegante e delicato, Pier Boselli.
La personalità di Mascardi esplose allora in tutta la sua finta balbuzie e tutta la sua ingovernabile fantasia.. Marco scriveva da maschietto in un settimanale femminile, affascinava le lettrici: era un bell'uomo, alto, baffuto, spiritoso esoprattutto non "cacciatore". Più che praterie gli si aprirono davanti i fairway ei green dei prestigiosi campi da golf di ogni angolo del mondo.
Prima che emigrasse in Liguria cenavamo spesso insieme al "Rigolo". Ma il ricordo che mi porto appresso è quello di una tarda seraacasa mia, in via San Vittore, quando- già pasturati da lunghissimi e appassionati baci a una bottiglia di Lagavulin-voleva iniziarmi ai segreti del putting usando un ombrello capovolto come ferro: leggambe appena divaricate e i ppiedi paralleli", insisteva prima di rassegnarsi.: "ma qui non c'è spazio", quel salone era di 90 metri quadrati.
Non ti dimenticheremo., Marco: per quelli della nostra generazione sei stato testimone eartefice di un'epoca di irripetibile felicità.
Grazie e addio.
Gianni de Felice
(giornalista, ex Corriere della sera)