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La citta' fantasma e' in zona rossa

Dino Frambati

Ci sono momenti in cui il sentimento, inteso come sensazione e sentire dell'animo,

si sovrappone alla freddezza del mestiere. Mi è successo quando, giovedì scorso, ho valicato i cancelli della zona rossa sotto ponte Morandi ed ho visto una città fantasma, dove sembrava che il tempo si fosse fermato; che all'improvviso qualcosa avesse vuotato strade popolose e popolari, ricche di storia e di storie umane, di gente viva e vivace. La penna non riusciva a scrivere sui fogli bianchi e non mi veniva neppure in mente di scattare immagini con il telefonino per il servizio che avrei scritto per Avvenire. Guardavo quelle finestre, i panni ancora stesi dal 14 agosto, forse appena passato il temporale ed il cielo si apriva a qualche sprazzo di azzurro, o quelle piante, quei fiori, su balconi e terrazze. I panni sventolavano scossi dal vento di tramontana, mentre restavano immobili e vuote alcune sedie dove gli abitanti della zona si godevano l'estate fino a quel maledetto 14 agosto. Ho visto con un nodo in gola alcuni giochi di bimbi, una scala appoggiata alla facciata di un palazzo, probabilmente in quel posto perché il padrone di casa, prima del collasso del ponte, voleva eseguire qualche lavoretto. Il vuoto sentimentale e mentale mi è durato non pochi minuti prima che la mente mi richiamasse alla memoria come ero lì da giornalista, per fare il giornalista e raccontare al meglio il dramma umano di chi è dovuto andarsene, lasciando però lì i fantasmi di una vita, mille ricordi di gioie, dolori, di un vissuto ampio ed umanamente intenso. Se 43 persone sono state uccise dai tiranti sconquassati dal tempo e forse soprattutto da negligenza, incuria o incapacità umana, ci sono quasi mille persone, tra case ed aziende, che sono vittime, per fortuna vive, ma massacrate nello spirito e nella vita dal disastro epocale di un ponte che collassa, si taglia quasi con perfezioni chirurgica, inghiottendo in quello spazio ora aperto e quasi surreale, che fa venire i brividi, una folla di persone: i morti, i loro congiunti, gli sfollati di via Porro, Fillak e Campasso. Strade che nemmeno tutti genovesi conoscevano e che, adesso, conosce invece tutto il mondo. Già...zona rossa, denominazione che nacque in un altro nefasto evento genovese, indimenticabile ed orrendo come il G8 del 2001 con quello che ne conseguì. Per cui ora basta; sono stanco, indignato e persino disgustato di descrivere una città bella e Superba, baciata dal sole e dal mare come Genova per il G8, le alluvioni, le Torri dei Piloti abbattute da manovre sbagliate di navi e ponti che crollano in un evento che appare incredibile e che, ancora adesso, talvolta la mente cataloga come sogno e incubo dal quale prima o poi ci si risveglierà e si vedranno di nuovo quelle due ali di adesso, ricongiunte. Sogno, incubo, progetto o quello che accidente volete. Però basta ora con i dibattiti politici, con progetti da fantascienza fatti da comodi salotti da gente che se sta ben accomodata e tranquilla a casa sua, con le sue cose quotidiane mentre nella zona rossa la città è fantasma. Vinca il pragmatismo, il dovere assoluto della comunità italiana di ridare agli sfollati la vita che adesso gli è rubata. Basta parole, burocrazia, enunciazione di principi a 500 chilometri di distanza dal vuoto agghiacciante sul Polcevera. Si agisca, come – occorre rilevare- hanno fatto a Genova in questi mesi Bucci e Toti (e loro squadre) che proprio da questo sito abbiamo definito giorni fa ed in senso positivo, “i gemelli del ponte”. Già che nel Terzo Millennio crolli in quel modo un ponte da poco più di un chilometro pare fantascienza ed è evento assurdo, ma è anche vero che, in questi giorni, tra Macao ed Hong Kong si inaugurerà un ponte da 55 chilometri dove prima occorreva fare un viaggio nel mare marrone ed inquinato del luogo per recarsi da un posto all'altro. Possiamo allora pretendere, a nome di morti, sfollati e disoccupati, che nella civilissima nostra Italia si faccia un ponte su un torrente, vitale per l'economia del Paese in meno di un anno? Come realizzarlo sta ai tecnici stabilirlo, basta che lo facciano con intelletto ma anche cuore, pensando a chi la vita l'ha messa in stand by, dentro scatoloni ammassati in un magazzino e dove la sistemazione è provvisoria, momentanea e non da qui a chissà quando. E' una responsabilità morale pesante, cui tutta la nostra comunità non si deve e non si può sottrarre.

Dino Frambati

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