Bucci e Toti gemelli del ponte
Al di là di giochi, giochetti, convenienze politiche che hanno fatto perdere tempo,
i due commissari nominati dopo la tragedia del Morandi (Toti c'era già, Bucci è neo nominato) appaiono come le persone più adeguate per una sfida epocale per Genova e le autostrade italiane, in una situazione dove a realizzare rapidamente l'opera non si vince nulla ma si rimedia ad una catastrofe, mentre a non farla sarà pesante sconfitta per tutta la comunità, la gente comune e le istituzioni. Coerente e pervicace nelle mie idee, costi quel che costi, ho scritto e ribadisco come io sia sempre stato fortemente critico nei confronti dei politici, teorici, lontani dalla gente. Mentre, a proposito del ponte ho detto – e confermo – che per una volta la politica è stata pragmatica, ha fatto il suo dovere con impegno forte e vincente, facendo sperare che, finalmente, cambi passo e chiuda con il passato in cui è stata sulle nuvole e lontana e persino ignorante (in senso etimologico) dei problemi reali. Un ponte che crolla uccidendo 43 persone, la gente sfollata, una città nel caos viabile, non c'entrano nulla con le appartenenze politiche, con le ideologie: sono situazioni da risolvere in maniera pratica e al di là di governi gialli, rossi, verdi, neri, blu, marrone, bicolori e multicolor. Sono problemi concreti ed epocali come lo sono quelli delle gestioni tecniche di terremoti, alluvioni e molto più modestamente pure del traffico e similari che, se affrontati con demagogia e ideologia, fanno solo danni. Dal primo momento, dal quell'indimenticabile Vajont e 11 settembre genovese che dir si voglia nella vigilia ferragostana, i due vertici di Regione e Comune hanno lavorato tecnicamente bene, in sinergia e diretti a risolvere le cose pratiche, appoggiati – occorre dirlo – da squadre, Giunte, Consigli, volontari, Protezione Civile ed altri – in maniera commovente. Ci se ne è accorti da subito e la nomina, di Bucci (ma fosse stata anche di Toti) era ampiamente condivisa. Quasi voluta in maniera bipartisan: basta leggere i consensi che pure le opposizioni hanno manifestato a questa scelta. Il difetto atavico italiano è sempre stato purtroppo questo: trattare i molti disastri che affliggono il nostro suolo con mentalità politica partigiana e questo ha fatto si che ci siano ancora terremotati nelle tende, alluvionati mai risarciti e andati in rovina, parenti di disastri anche provocati dall'uomo per colpa, dolo e o terrorismo malvagio, ancora adesso in attesa di giustizia. Il ponte che collega la A7 con la A10 spazia da destra a sinistra da qualunque parti lo si guardi, per cui occorre una decisione tecnica adeguata, intelligente, molto ma molto rapida che dia il minor danno possibile alle vittime incolpevoli di avere casa e radicamento nella zona sotto il Morandi e che, “in primis”, soprattutto onori chi non ha più nemmeno la vita, persa, inghiottita da quelle macerie maledette che potevano molto probabilmente essere evitate. Per cui adesso si inizi una corsa contro il tempo perché le soluzioni provvisorie adottate su traffico ed economia, sono buone per l'emergenza, ma l'emergenza è qualcosa che deve durare il meno possibile, altrimenti si trasforma in disagio sociale, umano e diritti minorati per la gente. Oltre tutto la ricostruzione celere, il più celere possibile di quel viadotto, è occasione unica per mandare al macero la gestione politica degli ultimi decenni che ha ridotto l'Italia nelle condizioni di coma in cui versa e ricordo che, a governare, c'è stato un arcobaleno di colori politici che nemmeno si trovano agli Uffizi, compresi quelli tecnici, incolori che sono stati forse anche peggio.
Dino Frambati