Italia, economia e lavoro
E' assai triste, ma altrettanto realistico, temere che occorreranno anni o addirittura
decenni, perché il benessere torni a regnare nel Bel Paese. Dagli anni Novanta infatti, scelte politiche sbagliate, professori che hanno deciso sull'economia con teorie che hanno devastato l'imprenditoria, una burocrazia fatta di forma che era spesso in piena e totale contraddizione con la sostanza, un sistematico massacro del ceto medio, della piccola e media impresa che erano la forza dell'economia italiana, ci hanno ridotto ad una situazione di disagio economico che non ha precedenti. E' una sorta di terza guerra mondiale quella scoppiata tra la fine del secondo millennio e l'inizio del terzo che ha sconvolto il pianeta, ha creato grandi povertà, non ha risolto i problemi di quella parte di Terzo e persino Quarto mondo. Ma in compenso ha abbattuto il relativo benessere che molti si erano conquistati con lavoro serio, alacre e produttivo. Nel mondo evoluto e nella nostra Europa molti Paesi se ne sono accorti ed hanno agito, al contrario di quello che dicono i loro governanti, in maniera da permettere a chi si impegnava di uscire dal pantano. In Italia è avvenuto il contrario. La crisi si combatte guardando ai numeri e numeretti dettati da tecnici che hanno letto pagine e pagine di teorie “illuminate” sull'economia ma non si sono mai affacciati in una bottega artigianale, in un piccolo negozio o in attività similari dove sta la realtà economica. Hanno ragionato dettando legge e ascoltati come oracoli su indici e numeri che si sono rivelati utili solo ai mercati con la emme maiuscola degli speculatori e finanzieri che campano e lo fanno benissimo, muovendo denaro e basta, senza dare un solo posto di lavoro. Oppure permettendo a multinazionali di produrre utili da fantascienza sfruttando stagisti, precari, partite Iva come schiavi. Un ritorno al Medio Evo economico che non è avvenuto di botto, ma giorno per giorno, versando una goccia di insipienza al giorno e promulgando regole che hanno ucciso lentamente il centrocampo dell'economia reale: quell'imprenditoria piccola e mediana, ceto medio e trait d'union tra la ex classe operaia e la grande industria ma che trainava entrambe. Chiudono i negozi e le piccole aziende, i professionisti sono disperati perché non riescono a farsi pagare le prestazioni, i consumi si stanno abbassando a precipizio. Il ceto medio è morto e da quando è stato recitato il De Profundis per questo - fateci caso - la crisi ha travolto come un tsunami tutto e tutti. La crisi di oggi è stata costruita in anni e anni e non si vedono segnali di ripresa vera che verrà, se verrà, in tempi lunghi quando riusciremo a cancellare le iniziative e le normative che l'hanno stesa. Mi viene da ridere ma soprattutto rabbia, tanta rabbia, quando sento “esperti” e tecnici pontificare su lavoro ed economia studiate sui libri. Bravissimi imprenditori di loro stessi, perché producendo soltanto parole sono riusciti ad ottenere redditi personali notevolissimi. Se invece magari dovessero procurarseli con quel lavoro che genera occupazione e utili, forse le loro aziende avrebbero avuto vita breve e bilanci miseri. In tutto ciò la speranza è che la politica inverta la tendenza del passato, incurante di chi abbiamo detto sopra ma guardando la gente comune, standoci in mezzo, andando in vie e piazze d'Italia a vedere le difficoltà quotidiane della gente comune oberata da scadenze, tasse di mille tipologie e fantasie, leggi e leggine senza senso. Certo ci vuole coraggio e tanto, ma senza questa svolta ad “u” saremo un Paese senza speranza, con pochissimi ricchi e una marea di ex benestanti in sofferenza e di poveri. La politica deve prendere atto che siamo in un mare in tempesta con una nave che rischia di finire sotto le onde. Occorre prendere il timone e portarla fuori dall'uragano a costo di manovre che tengano poco conto di luoghi comuni e parametri, ma piuttosto che salvino la nave dal naufragio, non importa come.
Dino Frambati