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Lo scandalo dei paracadutati e dei paracadute

Massimiliano Lussana

Man mano che si avvicina la scadenza per la presentazione delle liste elettorali, aumentano

agitazione e confusione.
E ovviamente, sondaggi alla mano, a solleticare maggiormente l'attenzione sono i nominativi del centrodestra.
Le rassegne stampa odierne regalavano gustosissimi articoli in cui ci si stupiva che le liste uscite la scorsa settimana da piazza De Ferrari - e date per sicure al cento per cento negli articoli precedenti - non fossero quelle definitive.
Era la scoperta dell'acqua calda e, al massimo, se non della capacità di analisi di chi anche politicamente ci ha creduto sul serio, testimonia sull'efficienza comunicativa dello staff di Giovanni Toti e di quello di Sandro Biasotti nel convogliare le notizie.
Ma dedicarci titoloni fa sempre il suo effetto e fa parte del gioco giornalistico.
E, comunque, vale la pena di soffermarsi su due punti.
La Liguria ha pagato negli ultimi anni un prezzo troppo pesante ai paracadutati: nel Pd, allo scorso giro, il lettiano Marco Meloni, il professor Paolo Guerrieri Paleotti, Raffaella Mariani (giuro che esistono tutti e tre) che però, diluiti su tanti eletti, pesavano di meno. In Forza Italia, addirittura, due eletti su tre - Augusto Minzolini e Giorgio Lainati - erano paracadutati da Arcore, lasciando il solo Sandro Biasotti come parlamentare ligure in tutto il centrodestra.
Ecco, questa cosa non si deve ripetere.
Mettere gente che non c'entra nulla con il territorio è il miglior modo di regalare voti al MoVimento Cinque Stelle - che saggiamente candida solo autoctoni - o rafforzare l'astensionismo.
Quindi, ad esempio, la candidatura del leader Udc Lorenzo Cesa per "Noi con l'Italia" nel collegio uninominale vincente di Imperia sarebbe sbagliatissima: per la Liguria, per Marco Scajola destinato a quel collegio, per Cesa stesso che ha voti e forza per essere eletto ovunque e anche e soprattutto per "Noi con l'Italia" che invece può schierare la candidatura potenzialmente vincente di Armando Ezio Capurro nel collegio 5 del Tigullio alla Camera o nel 3 del Ponente al Senato o in qualsiasi altro collegio ligure. Capurro ha un carattere forte e ha anche, come tutti noi, molti difetti (anche se lui lo negherebbe, visto che l'autocritica non è la prima delle sue caratteristiche), ma ha pure altrettanti, anzi di più, pregi e meriterebbe quel posto per impegno, serietà e radicamento territoriale.
E soprattutto, a differenza, di Cesa, proprio il suo essere radicato in Liguria, avrebbe se non una prova d'amore di Toti, certamente una di non ostilità.
Allo stesso modo, è surreale e insultante l'idea che Marco Scajola non vada bene per una questione di cognome. Insultante per Marco perché sta lavorando molto bene come assessore della giunta Toti ed è uno di quelli capaci di parlare con gli elettori uno ad uno, senza farsi calare dall'alto, e insultante anche per Claudio Scajola, zio di Marco che in questo momento non è in straordinari rapporti politici con suo nipote, per usare un eufemismo, e che non merita affatto la "damnatio memoriae" addirittura del cognome. E che, quando faceva lui le liste, riusciva a far mettere liguri anche fuori dalla Liguria e non il contrario.
Detto tutto questo e bastonati i "dottor Stranamore" del tavolo delle liste che pensano a paracadutati (non Berlusconi che potrà invece mettere la zampata finale che rivoluzionerà il quadro), ce n'è anche per la lista uscita dalla Regione.
L'impressione è quella di una sorta di giochino a "levati tu che mi ci metto io", una specie di domino o gioco dell'oca dove si liberavano caselle pensando già a come riempirle successivamente, ma proponendo sempre le stesse facce per tutti i ruoli.
L'abbiamo detto ieri: una figura come quella di Anna Pettene, esattamente come quella di Giovanni Toti o per altri versi di Giancarlo Vinacci, è post-ideologica, la sua svolta moderata e trasversale è stata la chiave di volta di una nuova maturità, ed è ovvio che dovrebbe essere candidata in collegi di frontiera, dove il "ceto medio riflessivo" vota la persona e non aprioristicamente il partito.
Oppure è ovvio che Lilli Lauro con la sua forza popolare, capace di essere popolana in mezzo al popolo, sarebbe perfetta in collegi che nascono a sinistra, come ad esempio la Valbisagno, dove può contare anche sulla sua gemella diversa Cristina Scarfogliero.
Insomma, le scelte devono avere valore aggiunto per la coalizione e per i partiti, non valore aggiunto economico per i diretti interessati.
Così come c'è un altro problema: ma è possibile che ci siano uomini buoni per tutte le stagioni e per tutti i ruoli, pronti a saltare indifferentemente da un'istituzione all'altra, senza nemmeno passare dal via, come al Monopoli?
In tutta questa storia, la figura migliore l'ha fatta Matteo Rosso, che avrebbe già avuto in tasca un biglietto sicuro per Roma e l'ha stracciato per restare a Genova e al suo lavoro sul territorio, prima ancora che si aprisse la lotteria delle candidature.
E, negli ultimi giorni, ne sono usciti molto bene, facendo un passo indietro ufficiale e prima che scadesse il tempo massimo, gli assessori regionali Giacomo Raul Giampedrone e Gianni Berrino.
Esistono fedelissimi azzurri che si sono sempre messi a disposizione ed hanno lavorato per il partito, che un posto, anche di quelli impossibili, di testimonianza, se lo meritano. Penso ovviamente a tanti seniores, ma anche a persone più giovani: da Giovanni Beverini, che dovrebbe anche averlo, ad Alessandro Lionetti, se possibile più berlusconiano di Berlusconi. Fin troppo, a tratti.
Però i nomi nelle liste sono sempre gli stessi.
Con il paradosso, uguale e contrario a quello dei paracadutati, dei paracadute.
Ma è mai possibile che Maria Elena Boschi, oltre a correre nel collegio uninominale sudtirolese, dove la forza del patto fra Pd e Svp è talmente forte da permettere l'elezione di chiunque, debba avere tre posti proporzionali?
E, se è chiaro e giusto che i leader nazionali abbiano maggioritario e proporzionale - chessò io, Paolo Gentiloni è normale che possa essere candidato in entrambe le liste e già è ammirevole che si candidi nel collegio di Roma centro - mi chiedo: che senso ha che per Sandro Biasotti ed Ilaria Cavo si sia pensato, stando a leggere i giornali mai smentiti sul punto, a una doppia candidatura?
Faccio i loro nomi, perché si tratta di amici. Biasotti è stato il primo a far sognare una Liguria diversa, un Toti preistorico. E ritengo, tuttora, Ilaria Cavo di gran lunga la migliore giornalista di cronaca nera d'Italia, che aveva la capacità di scovare notizie su delittacci e l'amore per la professione nel Dna. Insomma, una fuoriclasse assoluta nel suo mestiere, che la scuola durissima e maieutica di Siria Magri, splendida maestra, ha reso ancor più brava. E come assessore - dove pure, come è naturale che sia, non riesce a toccare le stesse vette - ci sta mettendo allo stesso modo il massimo impegno possibile e una grande qualità di lavoro e a Roma potrebbe fare bene. Poi, non condivido tutto ciò che fa, ma sarebbe preoccupante il contrario. Spesso non condivido nemmeno me stesso.
Insomma, detto tutto questo, sono figure che hanno un personale valore aggiunto di voti e devono giocarselo, ma senza doppie corse.
Ilaria Cavo non è Margaret Thatcher e nemmeno Nilde Iotti o Margherita Boniver.
E Sandro Biasotti non è Alcide De Gasperi o Bettino Craxi e nemmeno Franco Nicolazzi o Antonio Cariglia.
Ma hanno pregi. Che vanno valorizzati. Senza paracadutati. Ma, allo stesso modo, senza paracadute.

La Puntina di Massimiliano Lussana

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