Il buon vecchio medico di famiglia
C'è una parola bellissima nel linguaggio burocratico delle leggi sanitarie, che è "famiglia".
"Medico di famiglia" è una definizione che ci riporta al mondo di una volta, a quando il dottore era uno di casa, uno di cui potersi fidare, uno che c'era sempre.
Tutto il resto, sa di burocrazia: "medico di base", "medico generico", persino il classico "medico curante".
Molto bella anche la definizione "Medico di fiducia", suona perfetto.
Insomma, davvero, i medici di famiglia dovrebbero essere la base del sistema sanitario, l'anima della cura delle persone.
E, appena possono farlo, lo fanno.
Sono loro, letteralmente, i "pronto soccorso" della situazione, i Matteo Rosso sempre presenti sul territorio.
O, anche, i farmacisti, i Roberto Bagnasco, quelli che ci sono sempre, che non si perdono un turno anche quando hanno altri incarichi pubblici, ma hanno la capacità e la sensibilità di comprendere i problemi e di ascoltare i pazienti.
E possono trasferire quello che sentono tutti i giorni dietro il bancone o in ambulatorio in esperienza reale e concreta, vicina.
La politica sul territorio, qui e ora.
Mai come in questi giorni, l'assenza di chi conosce i problemi sul campo, si è sentita.
Con i medici di famiglia presenti in studio e pronti a venire a casa, quello che è successo al San Martino e la disfatta drammatica dell'agenzia sanitaria Alisa dei giorni scorsi e della sua gestione, non sarebbe successo.
Poi, certo, è ovvio che ci sono problemi che non si possono risolvere in ambulatorio. Ma è altrettanto ovvio che tanti codici bianchi sarebbero rimasti a casa se avessero trovato gli studi aperti.
Lo scorso anno, proprio dal centro di comando della sanità ligure, Marco Macchi coordinò molto bene l'apertura di un certo numero di studi medici durante i ponti e le chiusure prefestive. Un'ottima idea dell'assessore Sonia Viale e del suo braccio destro e sinistro Paolo Ardenti.
Non fu un successone, perché in alcuni casi gli studi rimasero deserti - e comunque gli afflussi non furono sufficientemente "spalmati" - e si aprì anche un problema sui pagamenti dei medici, tuttora in piedi, almeno parzialmente.
Ma l'idea resta buona e forse valeva la pena di insistere.
Perché una sanità trasformata in gestione burocratica di pratiche e il "medico di famiglia" in semplice passacarte che deve compilare moduli e ricette per chiedere farmaci ed esami, è una sanità che non funziona.
Occorre tornare all'antico, al rapporto fiduciario medico-paziente, a una medicina reale e non difensiva.
Occorre tornare a guardarsi negli occhi.
Occorre tornare alla "valigetta del dottore" e alle visite in famiglia.
Quando mi capita - e sono fortunato col mio medico di famiglia, che ha alle spalle talmente tanta esperienza da tranquillizzarmi semplicemente con uno sfioramento del costato, roba che nemmeno un gesùcristo della medicina, con cui azzecca quasi sempre diagnosi e prognosi all'istante - si è fortunati.
Negli studi del medico di famiglia, quello storico, quello di una volta, si è abituati a dire pane al pane e vino al vino.
Ed è ciò che avrebbe dovuto fare l'agenzia sanitaria regionale Alisa in questi giorni. Dire semplicemente: "C'è stato un afflusso record di pazienti, imprevisto, che ci ha colto di sorpresa. Abbiamo valutato male i numeri, ci scusiamo con tutti e ci mettiamo a lavorare ventre a terra affinché non succeda più".
Non rivendicare medagliette e successi inesistenti, fuori posto e fuori luogo, che davano la sgradevole sensazione di essere pure presi in giro. Un incredibile errore di comunicazione.
Un po' come le mogli che, scoperte dal marito con l'amante nudo in camera, dicono: "Caro, posso spiegarti tutto, non è come pensi tu...".
Bastava chiedere scusa.
Ci riusciva anche Fonzie in Happy Days. Magari dopo due o tre tentativi: "Sc.., scu.., scus...", ma poi ce la faceva.
Da qui bisogna ripartire per risolvere il problema, come insegnavano alle elementari.
Dalla base (e dai medici di base), non dall'altezza.
O dall'altezzosità.
La Puntina di Massimiliano Lussana