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Dalla guerra alla crisi di governo, ma non è un gioco

Mario Draghi e Dino Frambati

La politica e la guerra non sono un gioco. La gente comune, i cittadini, gli anonimi abitanti della terra, stragrande maggioranza del genere umano, non sono figurine e neppure pedine da muovere su un foglio a caselle di un improbabile gioco da tavolino. Sono esseri umani, essenze maxime espresse dalla natura, dietro a ciascuna delle quali c'è una storia, ruotano altri esseri viventi che con loro percorrono l'iter della vita, li affiancano, vivono di loro e con loro.
Qui sì che uno vale uno, nel senso che ognuno vale come un altro. Un barbone vale come il presidente della Repubblica, il netturbino vale come il manager a capo di una multinazionale. Come esseri umani intendo. Ciascuno che incrociamo per strada, scorgiamo sporgersi da una finestra, passare a bordo di un treno, auto o altro mezzo di trasporto, vale una vita.

Ha un cuore che pulsa, ha un valore spesso, anzi, molto spesso, più alto che altre persone titolate, che appaiono in tv dove somministrano come colata di oro il loro sapere o, più spesso, il loro non sapere coperto talvolta pure da arroganza, presunzione, millantata certezza di avere contezze che, invece, non esiste.
Tutto ciò magari (se) lo sanno, ma se ne infischiano, oppure vivono in un altro mondo con colpevole non volontà di umile apprendimento o ascolto degli altri.
Come coloro i quali hanno scatenato una sanguinosa, crudele, assurda guerra, dove muoiono esseri umani e non pedine del Monopoli, motivando questa inaudita violenza come autodifesa o salvifico intervento di chi è in pericolo. Tesi che scontrano maledettamente con la verità, con le situazioni reali e la totale mancanza del pericolo paventato.
Uccidere vuol dire essere assassini, anche se non si preme il grilletto ma si è mandanti. Intanto cosa importa a chi sta superblindato nelle elegantissime e lussuosissime stanze dei palazzi, simbolo di una nazione. Non dovrà neppure togliersi dalla giacca la polvere dei palazzi crollati perché la devastazione provocata è distante mille miglia e a morire sono i pincopallino anonimi. Vite spezzate e, se va meglio, sconvolte. Con mutazione totale ed infernale della loro quotidianità. E riflessi nefasti sul genere umano che è fuori dal quadro bellico e che, a causa di questo, perde ogni giorno parte di quei risparmi accumulati con fatica e lavoro.
Non uccidono ma fanno comunque danni sociali quelli che giocano a fare politica piuttosto che farla davvero, come hanno invece fatto i padri fondanti della Repubblica Italiana, grandi statisti.
Basso livello ma alta nocività di non pochi e certo di non tutti.

L'importante è magari restare sotto i riflettori e/o al centro della cronaca, mantenere il potere, fare prove di forze: scompagino il quadro politico ergo sum.
Se poi il loro agire danneggia milioni di persone chissenefrega, anche per loro ci sono divani in pelle e mobili antichi dove “lavorano” e per i transfert mica c'è da stare in piedi sui bus. No, no, ci sono auto da almeno 2500 di cilindrata a disposizione gratuita e soprattutto bonifici a tante cifre a fine mese sul loro conto corrente. Vincano, perdano, sbaglino o facciano giusto, abbiano reso servizi positivi alla comunità o abbiamo fatto il contrario.
Il mondo soffre dall'inizio del terzo millennio. Un ciclone su Parigi a poche ore dal capodanno che nella ville lumière è momento topico, nel 2000; poi il G8 di Genova, peggiore nella storia dei summit; la strage delle due torri. Segnali del male ad essere superstiziosi. Poi la crisi di Borse e banche, fino a giungere a pandemia e conflitto bellico. In mezzo e causa dell'economia ribaltata rispetto alla seconda metà del secolo scorso, il crollo del ceto medio, la pessima gestione dell'euro di per se formidabile realtà, la corsa a trasferire la produzione in nazioni dove chi lavora guadagna un dollaro al giorno e che non sono proprio esempi di welfare e democrazia.
Ecco una delle immagini del mondo di oggi, la globalizzazione della crudeltà e insipienza.
Demagogico? Autore di un editoriale nazionalpopolare? No, esperto della vita dopo aver vissuto tanti fatti, vissuto nel bene e nel male e stando in mezzo alla gente, buona e cattiva, onesta o no, ma vera, quella che popola città, Paese, il mondo. E che, in genere, mi ama. Il Palazzo no. A volte mi detesta, a volta fa finta di sopportarmi. A volte mi vuole anche bene...
Ma il dovere del giornalista è dire la verità, riflettere e far riflettere. E la verità triste, amara e persino terribile di oggi, è questa. 

Dino Frambati

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