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Tra Porta Santa e Giubileo della comunicazione, reportage di una mattinata da far vibrare l’anima

Dino Frambati

A prescindere dalle personali convinzioni religiose, dalla propria cultura e storia di vita, attraversare la Porta Santa della Basilica vaticana è comunque una grande emozione; pochi passi insieme a persone diverse, per colore di pelle, razza, etnia, difficili da narrare, impossibili da dimenticare. Popoli variegati ma analogo pathos.

La fila in via della Conciliazione che parte da Piazza Pia è lunga, scorre lenta ma non è possibile percorrerla senza parlare con chi avanza al tuo fianco. La liturgia, la religione ma anche temi più laici come i generosi, gentili volontari che coordinano una massa enorme, imponente ma in questo caso che funziona a meraviglia, meglio di quando facciamo la fila per pagare in cassa al supermercato o un bollettino postale, sono gli argomenti che dividiamo con persone amiche da sempre come mai conosciute prima ma con cui la condivisione di quel momento unisce con l’anima.

Non saprei se si possa dire che tutto ciò è miracolo giubilare ma certamente mi colpisce l’amalgama rapida e insolita della gente, che poi è la stessa che incroci ogni giorno per strada ma che qui mi pare diversa, serena e propensa alla comprensione degli altri.

In mezzo alla piazza l'obelisco vaticano, sormontato dalla croce salvifica di Cristo, proveniente dal circo di Caligola e di Nerone, che venne issato con funi continuamente bagnate nell’operazione, perché il grande peso ed il conseguente immane sforzo di porre l’obelisco in verticale le avrebbero surriscaldate a tal punto da spezzarlo.

Questo è il clima che domina nell’avvicinamento alla Porta Santa ed entrando nel grande piazzale del colonnato, costruito a simbolo di un abbraccio, e poi nella Basilica attraverso la Porta, scorgendo, subito a destra dopo l’ingresso, la Pietà del Michelangelo.

Dalla Basilica all’Aula Nervi il passo è breve, ascoltando i commenti di tanta umanità italiana ed estera, attonita per trovarsi fisicamente in quei luoghi visti tante volte in tv.

Ed è in Sala Nervi che si svolge il rito della giornata della comunicazione del diario giubilare, sabato 25 gennaio.

Nell’Aula capace di contenere 6mila presenze, a riempire l’attesa del Papa, incanta il concerto di Uto Ughi mentre i volti dei presenti tradiscono la tensione felice di aspettare l’uomo in bianco.

Quando giunge il momento di Francesco (alle 11,30 circa, in anticipo rispetto alle 12,30 annunciate nel programma) le urla della platea sembrano voler volare in cielo, superando la cupola caratteristica della struttura forse più guardata nel mondo. Soprattutto sono gruppi di latini a farsi sentire con più forza tra le rappresentanze di 138 Paese presenti. Agitano bandiere nazionali, invocano Francesco, cantano e ne gridano il nome “Franc(s)isco” quasi con tifo da stadio.

Ma è un momento in cui il tutto possibile diventa tutto bello.

“Comunicare è uscire un po’ di sé stessi, per dare del mio all’altro e la comunicazione non solo è l’uscita ma anche l’incontro con l’altro”, dice il Papa che parla a braccia spiegando che le 8 pagine preparate ad hoc e leggibili in una sorta di libretto distribuito a chi si avvia al Giubileo della comunicazione, sarebbero un “tormento” per la sua salute anche nell’occasione tormentata da qualche disturbo. 

La comunicazione, insiste l’uomo vestito di bianco, “è una grande saggezza”; “è una cosa divina. Quello che fa Dio col Figlio e la comunicazione di Dio col Figlio è lo Spirito Santo”.

L’uomo che rappresenta Dio in terra, erede del soglio di Pietro, capo della Chiesa cattolica e romana, invoca libertà per giornalisti arrestati ed esalta il lavoro di informare perché “costruisce la società, costruisce la Chiesa, fa andare avanti tutti, a patto che sia vero”.

E per farsi capire meglio, in perfetto stile Francesco, si fa domanda e risposta: “Eh padre, io sempre dico le cose vere”.

“Ma tu sei vero? Non solo le cose che tu dici. Ma tu, nel tuo interiore, sei vero?”.

Ed ancora: “essere comunicatori di speranza, disarmare la comunicazione dalla rabbia”.

Alla fine, la mattinata vaticana è da porre tra quelle speciali pur per chi è avvezzo a vita frenetica, ricca di eventi mai uguali e sempre intensi, pur se si vanta esperienza di chi ha visto tanta parte di mondo e narrato accadimenti talvolta persino incredibili e inaspettati.

Mentre l’emotività che ha regalato rende difficile trovare le parole adeguate a raccontarla anche a chi con le parole è abituato alla narrazione di ogni tipo di fatto.

Perché quanto vissuto all’ombra del Cupolone va vissuto piuttosto che narrato: il vocabolario di cuore e psiche non esiste ancora e non verrà forse mai inventato.

Dino Frambati

Foto Markus Perwanger

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