Le accuse (ritardate) di Beppe Grillo
Ho seguito Beppe Grillo nella sua (incredibile) carriera. Credo di aver raccontato i suoi pregi e i suoi difetti.
Ma l'ho fatto in tempo reale, al momento opportuno.
Le bombe a scoppio ritardato non mi piacciono. E quindi non condivido le sparate che fa oggi Lello Liguori, a tanti anni di distanza. Lello, il mitico Lello, è stato un grande manager, un organizzatore di spettacoli. Aveva lanciato lui il Covo di Nord Est di Santa Margherita. Aveva creato un gemellaggio con la Bussola di Focette, il regno dell'altrettanto mitico Sergio Bernardini.
Il Covo richiamava a Santa i vip della Milano da bere. Il Covo era il locale alla moda. Onore a Lello, quindi.
Da qualche decennio (il tempo passa) Liguori è uscito di scena. Torna alla ribalta con le periodiche sparate contro Beppe Grillo, che sicuramente aveva contribuito a lanciare. Tre anni fa aveva raccontato a Renato Tortarolo, che l'aveva pubblicato sul "Secolo XIX", che quello stesso Grillo che ora fa il moralista e vorrebbe cambiare l'Italia, negli anni '80 amava farsi pagare soprattutto in nero. Ora, alla vigilia delle Elezioni Europee, l'ha ripetuto a Stefano Filippi de "Il Giornale" di Berlusconi. Ha raccontato che il comico genovese aveva un cachet di 70 milioni a serata, ma ne fatturava solo 10. Gli altri 60 erano in nero. Ha fatto un po' di calcoli: Grillo in quel periodo si è intascato 3 miliardi in nero.
In quegli anni facevo anche il cronista mondano, al Covo ero di casa. C'ero anche una sera in cui il manager di Grillo, il celebre "Cencio" Marangoni, era venuto ad accordarsi per uno spettacolo del suo assistito. Lello era furibondo. Mi raccontò delle pretese del comico, le cifre non collimano con quelle che dice adesso. E francamente solo 10 milioni su un contratto di 70 mi sembrano esagerate. Mi disse che il cachet era di 80 milioni. E che il comico, tramite il suo manager, ne pretendeva 50 in nero al momento del contratto, gli altri 30, regolari, li avrebbe presi in occasione della serata, dopo l'esibizione. Era furibondo, anche perché aveva il problema di far uscire 50 milioni in nero. Mi disse che era una cosa scandalosa, non si poteva più lavorare. Bisognava far cessare l'andazzo.
All'epoca lavoravo a "Oggi". Telefonai dal Covo al direttore Willy Molco. Mi autorizzò a far scoppiare lo scandalo. Dovevo naturalmente portare le prove. Con Lello avremmo dovuto rivederci il giorno dopo, per avere la documentazione segreta. Ma la notte gli aveva portato consiglio: "Elio, meglio non scrivere nulla. Anche perché nel mondo dello spettacolo Grillo non è il solo a pretendere soldi sottobanco. Se denuncio l'andazzo, poi non lavoro più".
Ecco: avrei preferito che il mio amico Lello Liguori, per moralizzare l'ambiente, parlasse allora. Avrebbe anche potuto raccontare perché Grillo aveva quel manager. E a chi quel manager doveva versare il 20% dei guadagni di Grillo. Parlare adesso, dopo tanti anni e alla vigilia delle elezioni, non è bello. Non fa parte di quello stile-Liguori che avevo sempre apprezzato al Covo di Nord Est.
Elio Domeniconi