Il Genoa non sfonda nel primo tempo e nella ripresa soccombe di fronte ad un cinico Verona
Dopo aver fermato i campioni d'Italia e vinto a Monza, il Genoa si arrende al Verona, che dopo aver espugnato il Maradona si ripete a Marassi grazie ad uno stordente uno-due in avvio di ripresa.
I rossoblù nel primo tempo comandano il gioco ma faticano a rendersi pericolosi e soffrono la robustezza e i continui falli commessi dagli avversari. Ci prova inizialmente Messias (tiro rimpallato da Duda) e poi la sola autentica palla gol capita, in contropiede a Vasquez, che dopo un triangolo con Sabelli giunge davanti al portiere ospite, ma di prima intenzione scheggia la parte superiore della traversa. Da registrare l'ennesima prestazione senza squilli di Vitinha, mentre il partner Pinamonti riesce solo a fornire qualche sterile appoggio ai compagni.
Dopo l'intervallo il Grifone, senza cambi nell'assetto, si disunisce. Potrebbe andare in vantaggio con una stupenda azione personale di Messias (con un “sombrero” di alta scuola), ma la conclusione esce di un soffio. Scampato il pericolo i gialloblù al 54' passano all'incasso grazie ad un cross basso da sinistra dell'ex Lazovic deviato malamente dal portiere Gollini proprio in direzione dell'accorrente Tchatchoua, che non perdona. Gilardino avvia la girandola di cambi inserendo Ekuban, Malinovskyi e Thorsby e proprio il danese, al 63', toccherà la palla di mano nella propria area convincendo l'arbitro Ayroldi a fischiare il rigore, prontamente trasformato da Tengsdet. La reazione rossoblù si riduce ad un altro tentativo di Messias sciupato di un nonnulla e gli innesti dei baby Ekhator e Accornero nel finale non mutano i connotati di una gara controllata agevolmente dai veneti.
Tra i tifosi genoani cresce la nostalgia di Gudmundsson, ceduto per fare cassa. Per il resto, i difetti di sempre: quando il Grifone deve “fare” la partita, affoga, mettendo a nudo i limiti della prima linea e anche di un centrocampo (esterni compresi) scarsamente propositivo.
Pierluigi Gambino