Genoa, storie di primari: da Zangrillo a Sheva
Non era troppo imprevedibile quello che sarebbe successo al Grifo, in questo periodo, dopo un girone d’andata pessimo e un inizio peggiore, per chi conosce l’ambiente rossoblù.
Si vuol dire che chi vive bene la storia del Genoa sapeva che poteva serenamente accadere quello che sta succedendo. Mentre gli amici americani, forse troppo trionfalistici, non pensavano di capitare in quella “trappola” sportiva che è il calcio e in particolare il calcio rossoblù.
Esempio lampante, credere che un eccellente giocatore, un eccellente uomo, senza alcuna esperienza di panchina, avrebbe potuto prendere in mano una squadra già “sciagurata” per i risultati ottenuti e portarla in breve tempo fuori dalla tempesta.
Ora, naturalmente, gli americani, che sembra siano persone molto affidabili, stanno già cercando di provvedere (“per quanto è possibile”) ai guasti attuali. E già Zangrillo ha detto: “Siamo pronti a tutto”, facendo capire che anche per loro la retrocessione potrebbe essere una eventualità.
In realtà le reazioni dei “777” sembrano molto razionali, non molto drammatiche, mettendoci la loro faccia e cercando di calmare la tifoseria che incomincia (pensate) a dire che forse “si stava meglio quando si stava peggio”.
Mentre scriviamo non sappiamo la fine di Sheva, che povera anima, una sfortuna simile proprio non se la aspettava: sia calcistica (3 punti in 9 partite) sia fisica con il maledetto Covid.
E anche questi americani, convinti di essere capitati in una grande società, forse hanno esagerato nel loro ottimismo: basta ascoltare una frase detta da Zangrillo: “Quando qualcosa non va in reparto, non facciamo fuori il primario”, come a dire che se la barca rossoblù sta affondando non è il timoniere (cioè Sheva) che viene gettato in mare. Ecco: a parte il fatto che se in un reparto (almeno lo speriamo) un medico lascia una pinza nello stomaco del paziente (caso paragonabile al momento drammatico del Grifo), il primario salta e come, almeno ce lo auguriamo.
Questo a significare che anche il più grande “rianimatore” non abbia ancora capito cosa significhi, nel calcio, una rianimazione. La pinza nella pancia equivale al penultimo posto in classifica (cioè Serie B), qui il “primario” calcistico dovrebbe senz’altro saltare e farsi un esame di coscienza.
Detto ciò, ci si chiede ora che farà Spors e che faranno soprattutto i “777”, i quali, va detto, hanno già sganciato circa venti milioni per il rafforzamento. Soldi già spesi soprattutto per Hefti, Ostigard e Yeboah, insieme costati, uno per l’altro, circa 18/19 milioni. E, onestamente, non sembrano “grandi nomi”, tali da offrire quel valore aggiunto, cioè qualità, ad una formazione che di qualità ha poco o niente.
Comunque, se verranno Malan o Ballardini (o chissà chi, se Spors ha in mente qualche “nomade” internazionale), il problema sarà ricomporre una squadra, dare ad essa un’identità e sperare che anche le dirette avversarie battano qualche colpo negativo. Mors tua vita mea, come si dice.
Speriamo davvero che questi americani (che, onestamente, non pare abbiano perso la testa: pensate se questa situazione fosse capitata a Preziosi… invece i tifosi sono ancora calmini…) ora pensino di più al Genoa che ai loro investimenti nella nostra città. Il sindaco è impegnato nelle elezioni, dunque non va disturbato, così come il presidente della regione.
Si ricordino gli amici americani che il tifoso genovese, e in particolare quello rossoblù, ama intensamente i suoi colori ma, quando capisce che qualcuno vuole disattendere le promesse, il suo grande amore si può trasformare in rabbia.
Ma su questo sembra che gli americani abbiano capito.
Vittorio Sirianni