Alla Corte, il Giardino dei Ciliegi in versione Serra
Il successo internazionale di Macbettu, versione arcaica e barbaricina del dramma shakespeariano acclamata in tutto il mondo, lo ha consacrato come nuovo astro internazionale del teatro. La nuova sfida di Alessandro Serra è stata confrontarsi con un altro capolavoro, stavolta del ‘900, quale è "Il giardino dei ciliegi" di Anton Čechov.
Un’opera di cui il regista e autore di origini sarde ha curato la riscrittura, la scenografia, i costumi e le luci oltre alla regia, portando in superficie tutto il chiaroscuro presente nella pièce, concepita dall’autore come una commedia ma spesso messa in scena (in primis da Stanislawskij) come un dramma. Nella visione di Serra si tratta di: «Una partitura per anime in cui i dialoghi sono monologhi interiori che si intrecciano. Un valzerino allegro in una commedia intessuta di morte».La storia è nota: rientrata in Russia con la figlia adolescente, dopo cinque anni trascorsi a Parigi, Ljuba viene informata della grave situazione debitoria che attanaglia il suo patrimonio e della conseguente necessità di vendere la propria casa insieme allo splendido giardino di ciliegi. Il nuovo proprietario della tenuta sarà Lopachin, ricco commerciante figlio di un vecchio servo della casata, mentre Ljuba e suo fratello Gaiev dovranno dire addio alla dimora della loro infanzia.
Il giardino dei ciliegi è l’ultimo capolavoro scritto per il teatro da Anton Čechov. L’autore crea un affresco sociale, una metafora poetica ed efficace della Russia, all’indomani dell’abolizione della servitù della gleba ad opera dello zar Alessandro II (1861). Dietro all’abbandono forzato del giardino c’è il violento distacco dalle serenità dell’infanzia, c’è un intero mondo che viene spazzato via dal nuovo che avanza, c’è l’inesorabile declino dell’aristocrazia, ormai imbelle e inetta, a vantaggio di una borghesia vigorosa e risoluta.
L’estro artistico di Serra, che guida un cast di alto livello formato da dodici attori, offre una rilettura esistenzialista del testo, restituendo quella delicata crudeltà, quell’ironia sorniona e velata d’amarezza, quello sguardo compassionevole tipicamente cechoviani. Un passaggio storico epocale riverbera nel vissuto dei personaggi, svelandone impietosamente l’incapacità di adeguarsi all’evolversi della vita.
Ancora il regista dice: «Il sentimento che pervade l’opera non ha a che fare con la nostalgia ma con qualcosa di indissolubilmente legato all’infanzia, come certi organi che possiedono i bambini e che si atrofizzano in età adulta. L’incombere della scure sul giardino provoca un dolore sconosciuto, un risvegliarsi di quegli organi nella loro funzione vitale. Un dolore che non ha nome e che solo guardando negli occhi il bambino che siamo stati potrà placarsi».
IL GIARDINO DEI CILIEGI
dal 27/05 al 30/05/2021
Teatro della Corte Ivo Chiesa