Chi ora esalta Malacalza...
La crisi dei giornali genovesi si spiega anche con quello che noi definiamo giornalismo alla genovese.
Il giornalismo dovrebbe avere anche una funzione sociale. Pungolare chi è al potere. Controllare quelli che hanno una funzione pubblica.
A Genova si preferisce un giornalismo diverso. E' più comodo salire sul carro del vincitore. Se poi il vincitore diventa un perdente, allora si abbandona al suo destino. E si va a battere le mani al vincitore di turno.
Questa è l'impressione che ho leggendo cosa si scrive adesso dopo che l'azionista di maggioranza Vittorio Malacalza ha annunciato il cambio dei vertici della Banca Carige. Si scrive che Malacalza salverà la banca e quindi salverà Genova.
Sono le stesse cose che si erano lette sul conto del principe Cesare Castelbarco Albani quando i "milanesi" lo avevano nominato al vertice dell'istituto di credito più amato dai genovesi.
Ave Cesare. Grande coltivatore di riso (con i sacchetti inviati a Natale ai fedelissimi). Sangue blu. Due papi nell'albo genealogico. Proprietario di Villa Lo Zerbino. Presidente di Primocanale, scelto da Maurizio Rossi diventato senatore. Un tran-tran con la moglie. Console del prestigioso Granducato del Lussemburgo. Sempre vestito in gessato (un tempo griffati Berti). Grande successo con le fanciulle in fiore. Devoto del cardinale Angelo Bagnasco.
Insomma era stato accolto dai media come il salvatore della patria. L'uomo giusto al posto giusto.
In pochi mesi il capitale della Carige si è dimezzato. Malacalza, che era diventato amico di Castelbarco al lunedì dei bolliti (e dello scopone) che si svolgevano al ristorante "Europa" con la regia di Duccio Garrone e Aldo Spinelli e alle quali venivano invitati i Vip della città, ci ha rimesso a quanto pare, un centinaio di milioni di euro, qualcosa come duecento miliardi di vecchie lire. E siccome l'abile imprenditore arrivato a Genova da Bobbio è abituato a investire per guadagnarci, non se la sente di perdere tutti quei soldi nella banca nella quale aveva creduto, inevitabile la decisione di cambiare i vertici della Banca (e forse è destinata a sparire la Fondazione, altra voragine) ecco che gli analisti di casa nostra cambiano bersaglio: evviva Malacalza, abbasso Castelbarco.
E' logico, però, che il lettore medio non creda più in questo tipo di giornalismo. Non stupiamoci quindi se il "Secolo XIX" viene acquistato soprattutto per i necrologi. Il giornalismo economico è un'altra cosa.
Elio Domeniconi