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Dov’e’ la ripresa?

Dino Frambati

La ripresa c’è. Nel senso di quella della disoccupazione, mai così alta in Italia dal 1977 in quella giovanile,

per non dire di chi, nella mezza età o non ancora anziano da pensione, si trova disoccupato, licenziato dall’azienda che ha chiuso oppure lavoratore autonomo fallito o con l’attività in profondo rosso, indebitata, priva di ordinazioni e di futuro.
 Un disastro, insomma, che evoca Grecia, Argentina, Terzo Mondo. Un disastro di un’economia che era una volta brillante, geniale, resa ricca dal lavoro di molti. Decenni di governanti incapaci e teorici, mirati soprattutto a mantenere il proprio potere e stipendio, di professori arroganti, pluri laureati nelle aule universitarie ma inesperti della vita e di tecnici e burocratici impegnati soltanto a creare una Stato di norme e leggi che li rendesse indispensabili mentre facevano lentamente affondare il Paese, ci hanno portato ad una situazione allucinante dove, ad esempio nel Sud, uno su tre è a rischio povertà e dove, al Nord, chi aveva voglia di fare è stato distrutto nell’anima, nella psiche e nella creatività. Peggio non si poteva fare. E nessuno mi venga a dire che vedo nero; rispondo che sono nero di rabbia perché gli italiani non meritavano questa sorte e che se è vero che vanno in vacanza, è ancora più vero che ci vanno con il sacco a pelo, il volo low cost che chissà se c’è e l’albergo che più economico non si può.
Del resto, dagli anni ’70 in poi, il Palazzo con i suoi valletti ha ingenerato nell’italica nazione la cultura che se non vai in vacanza sei un diverso, un emarginato. E in questa Italia da Carosello questa cultura ha fatto presa. Del resto girare il mondo, vedere posti lontani, usi e costumi diversi è bello, tanto più che, nelle stagioni bollenti di sole, le città sono vuote, le attività chiuse e per restare occorre quasi effettuare un corso di sopravvivenza. Sarebbe tutto diverso se questo granitico potere multicolor (in senso politico, li abbiamo provati tutti) si facesse da parte e permettesse all’imprenditoria italiana di lavorare in santa pace, senza opprimerla di leggi, leggine e leggione insensate e con il principio che il “padrone” è cattivo fino a prova contraria. Pensateci bene all’Italia post bellica, dalla tv in bianco e nero ad internet, e chi ha qualche capello bianco in testa mi darà ragione. Grandi italiani, pessimi politici ed amministratori. Scandali, corruzione, incapacità palesi…sto raccontando la cronaca da giornalista. E se qualcuno contesta sono pronto a scrivere un libro, citando fatti e situazioni vissute di persona, venendo dal mondo imprenditoriale e lavorando nei media da quasi 35 anni, compreso un giornale di sindacato e quindi di lavoro per eccellenza. Tornando ai dati citati all’inizio, a giugno il tasso di disoccupazione è cresciuto dello 0,2 per cento su maggio. Piccola cifra ma significativa in una corsa al ribasso. I disoccupati in Italia crescono dell’1,7 per cento, che fa 55 mila al mese. Istat dice che i disoccupati negli ultimi 12 mesi sono 85 mila in più e precisa che il dato “è associato ad una crescita della partecipazione al mercato del lavoro, testimoniata dalla riduzione del numero di inattivi”. Poveri giovani poi: il loro tasso di disoccupazione è al 44,2 per cento (giugno). Il più più alto delle storiche mensili e trimestrali dal primo trimestre 1977. Dati certo utili a capire ed a ragionare ma che devono essere aggiunti a ciò che vediamo e conosciamo ogni giorno: gente che racconta di avere i figli laureati a casa, artigiani e commercianti ridotti da benessere a povertà, negozi chiusi. Peggio non lo avrebbe fatto neppure Attila che almeno lasciava ai barbari libertà di lavoro.
Come agire e riformare l’economia lo abbiamo scritto mille volte, dal contante che va lasciato libero di circolare, allo stop della mentalità barbara peggio che il già citato Attila, di porre l’imprenditoria su canali stretti di azioni e norme fiscali che praticamente costringono a dimostrare che non rubi. Principi contrari ad ogni garanzia che uno è onesto ed innocente fino a prova contraria. Qua sembra si sia colpevoli fino a prova contraria. Questo è ciò che occorrerebbe e ciò che pensa la maggioranza.
Ma, vivendo ogni giorno la cronaca politica ed economica, viene da pensare che qua non è la maggioranza del Paese, popolo sovrano, a decidere, ma una minoranza attaccata al potere a tutti i costi e se questo condanna il Paese, che importa. Basta salvare se stessi.

Dino Frambati

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