L’esempio della Fiera di Genova
La Fiera di Genova offre il classico esempio della differenza tra pubblico e privato. Per salvare quella che una volta
era il fiore all'occhiello di Genova e produceva reddito la presidente Sara Armella aveva dovuto approvare un piano che prevedeva l'esubero di più di metà del personale.
L'avvocato Armella era stata scelta per la presidenza della Fiera dal Governatore Claudio Burlando non solo per la sua bravura (si è formata nello studio Uckmar) magari anche per il suo fascino (ci vuole anche quello per chi deve rappresentare un ente così importante) ma anche perché di sinistra. E' infatti la moglie del giovane Giovanni Lunardon, che era il segretario provinciale del Partito Democratico e ora aspira a diventare il segretario regionale, in attesa di approdare anche lui in Parlamento.
Quindi la signora Armella-Lunardon aveva approvato con le lacrime agli occhi quel piano tagliateste. Ma non c'era altra scelta se si voleva salvare quella che i genovesi chiamano la Fiera del Mare.
Ovviamente sono intervenuti i sindacati. E ora la lieta novella: non sarà licenziato nessuno. Chi non serve più alla Fiera sarà smistato nelle varie partecipate: Comune e Regione, tramite Filse. Provincia, Camera di Commercio, poi Aeroporto Spa. Così nessuno rimarrà a casa.
Ne siamo felici per i lavoratori. Ma non possiamo condividere questo sistema. Il problema non si risolve piazzando nelle altre partecipate i dipendenti che non servono più alla Fiera e che probabilmente non servono nemmeno alle altre partecipate. Si tratta di persone demotivate perché strappate dal loro ambiente naturale. Gente che si accontenterà di vivacchiare in attesa di arrivare alla sospirata pensione.
Così si salvano posti di lavoro, ma non si fa certo l'interesse delle aziende partecipate. Nel pubblico si ragiona così. Ma sino a quando?
Elio Domeniconi