E Prisco scopri’ il cronista

Peppino Prisco
Fare il servizio sugli "spogliatoi" (il cosiddetto dopo-partita) oggi è comodo, ma non è più divertente.
Tanto per cominciare negli spogliatoi entrano solo le telecamere di Sky, che pagano profumatamente per l'esclusiva. E un giocatore è obbligato a fermarsi nella postazione di Sky in mezzo al campo già nell'intervallo quando avrebbe voglia di correre a bere il tè caldo.
Negli anni '60 anche i cronisti potevano entrare negli spogliatoi. Subito dopo la partita l'allenatore usciva dallo stanzone e rispondeva alle domande dei cronisti. Poi la porta si apriva e tutti a intervistare i giocatori, che erano ancora mezzi nudi e per questo le giornaliste donne (ma all'epoca erano pochissime) non potevano svolgere questo servizio.
Quando l'Inter era allenata da Gianni Invernizzi era uno spasso, perché il tecnico di Abbiategrasso si ingarbugliava in lunghi discorsi e ne venivano fuori monologhi da cabaret. Un cronista del "Corriere della sera", Carlo Grandini, che poi doveva diventare la prima firma, apriva sempre il registratore e poi faceva divertire tutta la redazione. Quando giocava l'Inter ad aspettare i giocatori c'erano sempre il padre di Mariolino Corso e quello adottivo di Sandro Mazzola, il signor Tagini. Quando mi vedeva Mazzola mi rivolgeva sempre la stessa richiesta: "Elio, quando mi mandi a intervistarmi Orietta Moretti". L'affascinante Orietta era genovese, era stata Miss, si era trasferita a Milano dopo aver sposato l'ingegner Paolo Moretti. Si stava cimentando con successo nel giornalismo e io decisi di lanciarla nel "Guerin sportivo". Ricordo che un giorno il grande Paolo Frajese mi chiese il permesso di invitarla a cena come se fossi il suo tutore.
Lavorare con il Milan era più difficile. Perché se perdeva Nereo Rocco chiudeva tutti negli spogliatoi. Si sentivano moccoli in dialetto triestino. Sbollita l'ira, il leggendario "Paron" usciva a razzo. Si toglieva il cappello, augurava la buona sera a "lor siori" e si dirigeva verso l'Assassino, il ristorante che era il suo quartier generale, senza profferire parola.
Presidente dell'Inter era il dottor Ivanoe Fraizzoli. Non scendeva mai negli spogliatoi, restava al fianco di Lady Renata, la donna della sua vita, con la quale veniva spesso a Santa Margherita (aveva un forno preferito dove andava a comprare la focaccia). Fraizzoli aveva designato oratore ufficiale l'avvocato Giuseppe Prisco, Peppino per gli amici. Prisco, come avvocato e come napoletano, andava a nozze con il microfono.
Quando veniva intervistato dalla Rai Peppino Prisco era molto diplomatico, diceva sempre cose banali, mai una frase sopra le righe. Una domenica mi accorsi che parlando, ovviamente in via confidenziale, con un giornalista amico, Gianni E. Reif, che dirigeva "Supersport", diceva cose ben diverse da quelle che aveva detto alla radio. Polemico, ironico, aggressivo. Chiatto chiatto mi avvicinai, facendo finta di niente.
Sul Guerino pubblicai le due versioni: il Prisco ufficiale e il Prisco confidenziale. Allora si ricordò del giovanotto che era rimasto a origliare facendo il finto tonto. E quando mi rivide, alla successiva partita dell'Inter, non ebbe dubbi: "Lei è Domeniconi!"
Poi diventammo amici. Mi diceva sempre di salutargli a Genova un amico comune, Fossati, che lavorava all'Hotel Colombia e aveva anche incarichi in Lega. Fossati era alpino come lui e insieme avevano combattuto in Russia, riuscendo entrambi a tornare a casa sani e salvi.
Oltre che intelligente, Peppino Prisco era anche molto simpatico. Mi stuzzicava sempre: "Con te parlo solo nella versione ufficiale...". Quella in cui diceva il contrario di quello che pensava.
Elio Domeniconi