La vittima Balotelli
C'era bisogno di un capro espiatorio per spiegare l'eliminazione dell'Italia al primo turno
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Il mito di Marilyn (Monroe) resiste ancora a tanti anni dalla morte. Quello di Marylin (Fusco) non è durato nemmeno una legislatura. Forse perché c'è Marilyn e Marylin.
A onor del vero i genitori della Fusco volevano chiamare la figlia come l'attrice americana. Ma quando andarono all'anagrafe di Finale Ligure a denunciarne la nascita, si sbagliarono nella grafia. E così invece di Marilyn venne registrata come Marylin.
I genitori però non volevano farne un'attrice e nemmeno una politica di professione. La vedevano con la toga, l'avevano iscritta a giurisprudenza perché potesse fare l'avvocato. E diventare un principe del Foro. Ma l'affascinante Marylin, quasi omonima dell'attrice di Niagara, quando era ancora all'Università, per mantenersi agli studi aveva cominciato a lavorare nell'ufficio di un poliziotto destinato a far carriera politica, Giovanni Paladino, toscano trapiantato a Genova. Si sa, da cosa nasce cosa. E Paladini si era trasformato da datore di lavoro in fidanzato e poi in marito. Ma guai a ricordare a Marylin la sua carriera all'ombra di Paladini. Tira fuori gli artigli e giura che si è fatta da sola.
La politica l'ha appassionata. Così non è andata a sostenere l'esame da avvocato. E alla voce professione faceva scrivere: consulente legale. Si dirà che una consulente legale dovrebbe sempre agire nell'ambito della legge. Ma i politici credevano di non avere certi obblighi. Alla sua prima legislatura la Fusco era stata nominata da Claudio Burlando vicepresidente della Giunta. Alle Europee era risultata la prima delle non elette. Il Parlamento era a un passo. Poteva raggiungere a Montecitorio l'amore della sua vita.
Poi le intercettazioni che l'hanno costretta a lasciare la vicepresidente. Successivamente lo scandalo delle spese pazze che ha travolto un po' tutti i seguaci del moralizzatore Antonio Di Pietro. La sua carriera politica, dopo il passaggio in Diritti e Libertà, era ormai appesa a un filo. Il colpo di grazia gliel'hanno data gli arresti domiciliari, per i quali ha scelto non la sua casa di Corso Marconi a Genova, ma in quella del marito a Montecatini Terme. Per i magistrati continuava a spendere per i fatti propri i soldi della Regione (quindi dei contribuenti). Poi la brillante idea da consulente legale: si è dimessa dal Consiglio, quindi non c'è più il pericolo che continui con le spese pazze.
Vedremo se riuscirà a ottenere la libertà. In ogni caso il suo mito è finito. Non è più la Lady Dark della Regione.
Elio Domeniconi
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