Morandi, il viadotto killer e la strage di 43 innocenti
Sei anni. Un periodo non brevissimo con dentro tanti avvenimenti, dal Covid alle guerre, quasi incredibili.
Ma quando il calendario segna 14 agosto, a prescindere dall’anno, prende sempre più una morsa allo stomaco di incredulità, forte emozione, rabbia, sbigottimento per una tragedia immane e dove 43 morti, già di per sé, tolgono il respiro. Ma che rende attoniti e tramortiti perché nel terzo millennio, in una società dove attraverso un piccolo schermo vai dovunque e con chiunque nel mondo e ad ogni latitudine, non può crollare un ponte; sbriciolarsi in un attimo, soffocando vite umane e devastando l’anima di centinaia di persone che a quei martiri del viadotto erano legati dal filo rosso, mai spezzabile e grande dell’amore.
Se un fatto del genere fosse accaduto in qualche lontano Paese dove si era ancora alle capanne ed alla vanga che raschia il campo, avremmo comunque sgranato gli occhi commossi chiedendoci perché nel mondo avanzato ed evoluto c’era ancora chi pativa sofferenze e situazioni da Medio Evo.
Ma che invece sia accaduto nel cuore di Genova, Superba sui mari, porto principe del Mediterraneo, e nella grande Italia non ultima delle grandi potenze del pianeta, personalmente, e con me milioni di persone, non lo possiamo né superare, né metabolizzare pure se anziché 6 anni ne fossero passati 60.
Da cronista e da uomo ho vissuto e, nella prima funzione ho raccontato con miliardi di parole, video ed altro, quel crash incredibile. Ed ogni volta che tornavo per mestiere di giornalista sull’argomento, come uomo il mio animo ribolliva.
Sta al processo ora stabilire cause, colpe eventuali, errori o quant’altro stia all’origine di un fatto che supera la trama di un romanzo. Faccio il giornalista non il giurista, il magistrato o l’avvocato, ma come essere umano mi ribello ad accettare il fatto.
Ammiro la mia amica Egle Possetti che con cuore grande, determinazione, caparbietà vuole arrivare ad ottenere chiarezza e giustizia. L’ho definita in vari scritti come Davide contro Golia. Faccio il tifo per Davide e spero che si ripeta e confermi la trama biblica. La vittoria di chi ha sofferto qualcosa di evitabile e la sconfitta di chi ha il potere nel business, perché sarebbe una bella lezione di vita per l’umanità che vincesse ciò che è giusto, sconfiggendo una - ahimè - purtroppo amara realtà della vita odierna che permette troppo spesso al denaro di prevalere su tutto.
Ma al di là di ogni morale, la mia fantasia di scrittore non avrebbe forse mai ideato un’opera dove nella progredita civiltà occidentale può accadere che un viadotto primario delle infrastrutture di una nazione del G7, sia diventato un killer, autore della strage di 43 innocenti.
Dino Frambati