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Bruno Ravera che fu Bucci

Massimiliano Lussana

Quest'anno, da quel maledetto giorno di fine febbraio 2017, non c'è più Bruno.


Ed è una mancanza pesantissima.
Non solo perché Bruno Ravera è stato il fondatore della Lega Nord dei tempi eroici, quando era difficile, insieme a Umberto Bossi e a un manipolo di sognatori.
Non solo perché Bruno Ravera è stato il fondatore dell'Union ligure e della Lega Nord Liguria, capace di sbattere la porta non per questioni di potere, ma per storie ideali, per le sue idee, per i suoi valori.
E non solo perché Bruno Ravera è poi rientrato con tutti gli onori nel Carroccio, con il ruolo di Papa Laico della Lega ligure, presidente a vita, ma contemporaneamente attivo come l'ultimo dei militanti, a tutti i banchetti, in tutte le battaglie, in ogni manifesto.
Lui, "leghista attacchino", come scrisse nel titolo del libro che era il suo manifesto ideologico.
Fra un paio di mesi, lo ricorderemo in un'occasione ufficiale, magari nel salone di rappresentanza di Tursi, insieme ad amici storici di Bruno come Davide Rossi e Massimiliano Curletto, che lo ricordano ogni giorno, ma anche ai capi storici della Lega in Liguria come Francesco Bruzzone ed Edoardo Rixi, ma anche ai suoi compagni di sempre come Franco Bampi, agli amici di Fratelli d'Italia e delle destre genovesi che l'hanno sempre stimato, da Matteo Rosso a Stefano Balleari, da Alfio Barbagallo a Massimo Spinaci, da Gianni Plinio a Massimo Ligustro e Giorgio Bornacin, agli amici-avversari azzurri come Sandro Biasotti e Lilli Lauro, e a tanti di sinistra che lo stimavano sul serio, per la sua forza, per la sua coerenza e per il suo impegno, mai interessato, e soprattutto ai giovani del Carroccio di cui si è sempre preoccupato e per i quali ha sempre avuto il primo pensiero.
Non iniziava un discorso senza prima chiedere al segretario di turno: "Vorrei fare presente e mettere a verbale le esigenze dei giovani". Ed era una sede, ed era un piccolo aiuto economico, ed era semplicemente un ascolto.
Vedere oggi Fabio Ariotti o Francesca Corso in consiglio comunale, e vederli così, con la capacità di Fabio di portarsi dietro le ragazze leghiste di mezza Genova (dell'altra metà, si occupa a Levante Samuele Aiesi) e quella di Francesca di sprizzare simpatia e passione per la politica, l'avrebbe reso felice.
Sia per le ragazze, sia per la passione.
E l'idea di Davide Rossi di dedicargli una piccola strada, in un Consiglio comunale che troppo spesso perde tempo per l'intitolazione di strade che sono solo manifesti ideologici, è il minimo che si possa fare.
Se fosse stato seduto in Sala Rossa, Bruno sarebbe riuscito a far perdere la pazienza ogni giorno anche al suo caro amico Alessio Piana.
Ma, soprattutto, quella notte in cui Bruno ci ha lasciato non gli ha fatto vedere il suo sogno: una Genova diversa, con i suoi compagni di viaggio al governo.
Oddio, qualcuno non lo riconoscerebbe. Di altri sarebbe orgoglioso. Con altri ancora non vedrebbe l'ora di litigare.
Ma le battaglie di Bruno sono quelle che hanno permesso di vincere in Regione prima e in Comune poi. E che sono la base del lavoro delle giunte di Bucci e di Toti.
Quella contro il fisco, con la marcia dei cittadini.
Quella contro la burocrazia e a favore del popolo degli artigiani, dei commercianti, delle partite Iva.
Quella contro l'Europa opprimente e per la tutela delle tradizioni agroalimentari e dell'identità, la stessa portata avanti oggi in Europa da Angelo Ciocca, di cui abbiamo parlato nelle settimane scorse.
Quella per destagionalizzare il turismo e valorizzare le nostre bellezze e il nostro clima, non solo d'estate.
In qualche modo anche quella del Waterfront di Levante portata avanti da Renzo Piano ed affidata da Bucci alle amorevoli cure di Francesco Maresca, di cui è stato precursore con le sue idee sulla Fiera e sul Lido.
Insomma, Bruno aveva capito tutto già quarant'anni fa.
Bruno "era stato" Bucci trent'anni prima.
Ci mancherà anche per questo.
Uno statista attacchino.

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