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Il Guerino a Genova

L'edificio sede dell'albergo Moderno Verdi

Negli anni '60 i giornalisti non sentivano la fatica. Si lavorava a ciclo continuo. Finita la partita da Marassi

raggiungevo la redazione del Guerin sportivo a Palazzo Margherita. Scrivevo il pezzo per il Guerino. Poi telefonavo un resoconto al "Corriere lombardo" un quotidiano della sera molto seguito e un altro articolo lo inviavo a Roma al "Giornale d'Italia" i cui servizi sportivi erano diretti da Maurizio Barendson, che doveva poi passare in Rai dove inventò varie trasmissioni sportive.

Un caffè al bar e via al "Corriere mercantile" dove mi aspettavano quattro pagine del campionato dilettanti. Le prime pagine del cosiddetto calcio minore le aveva inventate nel vecchio "Mercantile" l'estroso Walter Colli, che aveva lasciato "L'Unità" dopo i fatti d'Ungheria che gli avevano fatto perdere (e non solo a lui) la fiducia nel comunismo. Colli le affidò a me perché le trattassi alla stregua del grande calcio. Erano originali, facevo titoli ad effetto. Piacevano, anche se suscitavano polemiche a non finire.

In quel "Mercantile" che - Fassio editore-  si era trasferito in via De Amicis in quello che doveva poi diventare il palazzo dei giornali, c'erano fior di giornalisti: Franco De Salvo, che doveva seguire a Roma il direttore Angelo Magliano e poi entrare in Rai, il critico cinematografico Claudio G. Fava, che in Rai divenne capostruttura e importò le fiction (ora a 85 anni è tornato a scrivere di ricordi sul vecchio giornale) Luciano Garibaldi che a Milano divenne una colonna di "Gente" e ora continua a sfornare libri che poi finiscono in tv (quella su Mario Sossi è opera sua) l'eclettico e bravissimo Guido Coppini, Sandra Ramella, una delle prime donne giornaliste di professione, Camillo Arcuri, poi a L'Europeo e al Secolo XIX, e tanti altri.

A dirigere lo sport era Manlio Fantini, che avevo anche portato con me al Guerino, eravamo come fratelli. Si lavorava sodo. Ma per fortuna ogni tanto c'erano parentesi piacevoli. Accanto alla redazione c'era l'albergo Verdi, che ogni tanto ospitava coppie in viaggio di nozze. L'albergo non doveva avere ancora l'aria condizionata perché d'estate i clienti aprivano le finestre. Pensavano che non li vedesse nessuno perché le luci del palazzo di fronte erano spente, erano accese solo al piano basso del "Mercantile". Il dimafonista era l'indimenticabile Piero Pasotti, che quando aveva finito di registrare i pezzi, si metteva di guardia. E appena captava una coppia in amore, ci convocava. Quell'esibizione di Kamasutra spezzava il ritmo del lavoro.

Alle 4, la focaccia appena sfornata in via San Vincenzo. Verso le 6 si staccava, era tutto impaginato.

Nel primo pomeriggio si ricominciava col "Guerin sportivo". Dovevamo aguzzarci l'ingegno per mandare notizie esclusive a Milano. Ma per noi era un divertimento. Non ci sembrava un lavoro. O forse per noi il giornalismo era il mestiere più bello del mondo.

Elio Domeniconi

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